Il numero dei morti non è ancora sicuro ma i corpi recuperati per ora sono 71, di cui 16 bambini. Il naufragio dei migranti a poche decine di metri dalla spiaggia dello Steccato, vicino a Cutro, nella costa ionica della Calabria, è una tragedia che si poteva evitare.
Stipati a bordo di un vecchio barcone di legno, partito da Smirne, in Turchia, questi afghani, iraniani, pakistani, cercavano, una vita degna di essere definita umana. Un’editorialista del quotidiano cattolico Avvenire, Marina Corradi, invitando i lettori ad identificarsi per un attimo con le vittime, ha scritto: “Siamo iraniani, afghani. Siamo quelli di cui impiccano i figli e le figlie, siamo i perseguitati dai taleban. Per questo siamo partiti. Vi mettereste voi in mare in una carretta, d’inverno, con dei bambini piccoli, se non fosse la ultima vostra speranza?”.
Evidentemente, il ministro dell’interno, Piantedosi, non la pensa così. Ha fatto il giro del mondo la sua affermazione sul fatto che “non si dovrebbe mai mettere in pericolo la vita dei propri figli”. Nei suoi discorsi sull’immigrazione, come in quelli di tutti i rappresentanti del governo, la stupidità gareggia col cinismo.
Data l’enormità del fatto, dato che è immediatamente trapelato che un aereo di Frontex aveva segnalato la sera del sabato un’imbarcazione in difficoltà nelle acque di competenza dei mezzi di soccorso italiani, dato che solo la mattina di domenica 26 febbraio un’imbarcazione della Guardia di Finanza è andata in direzione della barca in balìa delle onde, tornando indietro perché il mare era forza 4 e le motovedette della Finanza, a quanto pare, non sono in condizione di affrontarlo, dato che i primi soccorsi, dopo che lo scafo del barcone si è spezzato su una secca a poche decine di metri dal bagnasciuga, sono stati quelli dei pescatori e di qualche carabiniere allertato da questi, che si sono tuffati in mare, dalla spiaggia, per salvare più naufraghi possibile, dato che la Guardia costiera, che sostiene di non essere stata avvisata, è intervenuta dopo le cinque di mattina, è abbastanza normale che si sia scatenata una polemica politica e giornalistica.
Ma queste polemiche hanno la vita breve e, purtroppo, questa strage non sarà l’ultima. I dati ufficiali, approssimati per difetto, parlano di 26mila morti in dieci anni nelle rotte mediterranee.
Delle migrazioni si fa un problema di polizia e di “difesa dei confini”, slogan di cui si riempiono la bocca particolarmente i mastini della destra. Nel caso concreto del naufragio di Cutro sta emergendo che questa “filosofia” ha scardinato i normali meccanismi istituzionali di soccorso, violando le leggi del mare.
I sopravvissuti potranno ora riflettere sull’applicazione pratica dei “valori europei”. Per gli afghani, gli iraniani, i pakistani, che fuggono da una miseria senza speranza, da persecuzioni e torture, nessun esponente politico si entusiasma. Non c’è la gara a portarli via dagli inferni da cui fuggono, il che rappresenterebbe semplicemente l’applicazione della Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Onu nel dopoguerra, e a chi si prestasse a offrire loro un passaggio dalla Turchia o dalla Libia fino a un paese europeo, toccherebbe subire un processo e sopportare il marchio d’infamia di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Eppure abbiamo tutti ancora negli occhi le immagini dei generosi volontari che a proprie spese, ed elogiati da tutti, sono partiti in automobile verso il confine ucraino per portare in Italia o in altri paesi europei, chi fuggiva dalla guerra.
Chi fugge dalla fame, dagli aguzzini dei campi libici, dagli impiccatori iraniani, dai fanatici taleban, merita la stessa solidarietà di chi fugge dai bombardamenti russi. Le differenze le fa chi specula politicamente sulle tragedie umane e sostiene un ordine sociale che produce queste tragedie.
R. Corsini