Quest’articolo è il frutto di una conversazione fra l’autore ed un tecnico che ha lavorato per alcune settimane all’allestimento di una mostra internazionale in una grande città cinese non molto distante da Shanghai. L’articolo non vuole certo indicare “verità scientifiche” sullo sviluppo del capitalismo cinese, ma piuttosto l’impressione che questo dà a chi vi è stato a contatto, anche se per un tempo molto breve, per motivi di lavoro e non come turista o studioso, “sinologo” come si usava dire una volta.
Oggi, i giornali e gli altri mezzi di comunicazione descrivono la Cina come un paese in frenetico sviluppo che si accinge a diventare a breve la prima potenza del globo grazie al suo PIL che raggiunge spesso una crescita annua a due cifre. Le grandi operazioni d’immagine come le Olimpiadi del 2008 e l’Expo “Shanghai 2010”, la “conquista” cinese dello spazio, il potenziamento delle forze armate, lo sviluppo di moderne infrastrutture, la crescente influenza politica ed economica, sembrerebbero confermare questa inarrestabile ascesa.
Il contatto diretto sul posto col capitalismo cinese che ci è stato riportato insinua dei forti dubbi su questa immagine. L’organizzazione, l’efficienza, un’economia libera e senza lacci, la riduzione al minimo dell’aspetto burocratico, l’abbondanza di tecnici e operai qualificati abituati ad agire anche di propria iniziativa e non solo ad obbedire ciecamente, la conoscenza diffusa dell’inglese, tutti elementi ritenuti fondamentali nel moderno capitalismo liberista e globalizzato, non si sono mostrati nell’esperienza di lavoro del nostro amico in Cina.
Il lavoro, come abbiamo già accennato, consisteva nell’allestimento di uno stand in una mostra internazionale organizzata in una grande città cinese non molto lontana da Shanghai. Poche settimane prima dell’inizio della mostra dagli organizzatori cinesi arriva improvvisamente l’ordine di presentarsi parecchi giorni prima per “una prova generale” dell’inaugurazione da fare poi ufficialmente al cospetto delle autorità. Questa richiesta improvvisa e non concordata crea molti problemi, ma comunque squadra tecnica di montaggio e materiale riescono a partire in tempo per questa chiamata anticipata.
Giunti in Cina, ci si accorge che il materiale al seguito è bloccato in dogana. Il motivo rimane un mistero, ogni volta oscuri funzionari doganali forniscono risposte diverse. Alla fine, e dopo alcuni giorni, si viene a sapere che “manca un certificato” e senza di questo il materiale sarebbe rimasto a giacere in dogana pagando ogni giorno centinaia di dollari di deposito. Sembra questa la vera causa “dell’intoppo burocratico” e della scomparsa di un certificato che era stato meticolosamente allegato al momento della partenza.
Il problema non sembra comunque molto grave, dato che la famosa “prova generale” inspiegabilmente non viene fatta, l’enorme spazio della mostra è ancora quasi completamente vuoto e i numerosi addetti all’organizzazione che aspettano delegazioni da tutto il mondo sono lì presenti con le mani in mano da giorni in attesa di “ordini dall’alto”. Cercando di avere informazioni sul cambio di programma si scopre che pochissimi addetti all’accoglienza e all’organizzazione parlano un minimo d’inglese.
La squadra di montaggio italiana decide di prendersela con filosofia e di andare a Shanghai a fare un giro turistico. Prende un treno super moderno e tecnologico e arriva in breve tempo nella capitale economica della Cina. Una volta scesi dal treno ci si accorge che prendere un autobus è molto problematico, ad ogni fermata centinaia e centinaia di persone aspettano gli autobus che in numero assolutamente insufficiente viaggiano ad orari assolutamente anarchici.
Persa ogni speranza di avere dalla dogana il materiale in tempo breve la squadra di montaggio rientra in Italia, rimane il caposquadra cui hanno assicurato due operai cinesi e un interprete per montare lo stand una volta sbloccato il materiale dalla dogana. Il tempo di attesa è l’occasione per visitare la città che ospita la mostra internazionale. Passando per i giardini pubblici si vedono giardinieri lavorano quasi a mani nude, con piccoli coltelli o falcetti, senza nessuna macchina per fare giardinaggio, e sono centinaia a svolgere un lavoro che in qualsiasi paese europeo viene eseguito da una dozzina di persone modernamente attrezzate. Le strade sono presidiate in ogni angolo da poliziotti e questo basta a incutere grande timore a chiunque sia sotto il loro raggio visivo. Segno di un controllo pesantissimo di uno stato che non ha certamente perso la sua tradizione basata sulla dittatura burocratico-militare. Il connubio Partito-Esercito Popolare di Liberazione è tuttora il centro del potere dittatoriale cinese e questo si avverte già quando si ha a che fare con un poliziotto predisposto a dirigere il traffico.
I grandi alberghi che ospitano gli stranieri giunti per lavoro sono modernissimi e forniti di ogni possibilità di comunicazione sia telefonica che via internet. Poche centinaia di metri dal cuore della città troviamo schiere di grattacieli, costruiti ormai da tempo da società tedesche, che sono quasi vuoti. La sensazione è che sono stati costruiti, anzi sono stati fatti costruire gli uffici senza essere in grado di preparare le schiere di quadri e di personale qualificato che questi uffici deve utilizzare. Un poco oltre questo quartiere si torna indietro di anni ogni cento metri che ci si allontana dal centro della città, tutto è più precario a cominciare dalla comunicazione telefonica e internet, la qualità della strade e la segnaletica strade, la rete fognaria, la fornitura di elettricità etc. Ci si rende conto che la Cina profonda, quella a cui è negato l’assalto al treno dello sviluppo capitalista, non è poi così lontana e comprende ancora una larga parte, larghissima parte, della società cinese.
Dopo giorni interminabili e a pochissimi giorni dall’inaugurazione della mostra, improvvisamente il “certificato mancante” viene misteriosamente alla luce e il materiale in dogana è sbloccato, chiaramente le migliaia di euro pagati per il deposito non saranno mai restituiti. I tempi per montare lo stand sono strettissimi, l’interprete parla un italiano sufficiente e ha più problemi a comunicare con un operaio cinese addetto al montaggio che proviene da un’altra zona della Cina e non parla il cinese ufficiale (il mandarino) ma uno dei numerosi dialetti che si parlano nel paese. Nonostante tutte le difficoltà lo stand è montato in tempo.
L’avventura è finita ma la sensazione che rimane è quella di essere stati in un mondo che è arrivato al capitalismo con tante contraddizioni e carenze storiche difficilmente colmabili per raggiungere i livelli degli Stati Uniti, del Giappone e dell’Europa Occidentale.
L’esperienza fatta “sul posto” sembra confermare che vedere lo sviluppo e il successo del capitalismo cinese solo attraverso le ipotetiche proiezioni delle percentuali di crescita del PIL, senza vedere il contesto generale, è come vedere l’albero senza accorgersi della foresta.