“È inderogabile un intervento di sostegno all’automotive”, queste le parole del governo Conte e in particolare del suo ministro dello Sviluppo Economico. Ma, da lì a pensare che questo significhi davvero garantire lo stipendio e il posto dei lavoratori del settore, ci corre un bel po’. Invece sembra che per gli azionisti, davvero “andrà tutto bene” come si vede nell’esempio di Fiat – FCA.
Fca ha chiesto e ha ottenuto dallo Stato un prestito di 6,3 miliardi di euro. Questo fa parte del vasto cosiddetto piano di sostegno all’economia e del “decreto liquidità” che prevede garanzie finanziarie fino a 750 miliardi di euro per consentire alle aziende di ottenere dalle banche prestiti a condizioni agevolate. Alcuni politici hanno suggerito che forse si potrebbe anche chiedere qualche garanzia a Fca, come per esempio quella di riportare la sede legale e fiscale in Italia e quindi pagare un po’ più di tasse allo Stato italiano, ma adesso non si parla più di imporre tali drastiche condizioni ad un eroe nazionale della libera impresa.
Il gruppo Fca ha in cassa 18 miliardi di liquidità e quindi non è sull’orlo del fallimento ma la possibilità di un tale prestito era comunque appetibile. Poi cosa se ne farà, è un’altra questione. Gli annunci per quanto riguarda gli stabilimenti torinesi del gruppo, i cui lavoratori vivono da anni lunghi periodi di cassa integrazione, contratti di solidarietà, lasciano più che scettici. Alcune centinaia di lavoratori stanno riprendendo per pochi giorni la produzione del Suv Maserati Levante, una macchina che costa più di 75000 euro al pezzo e non è certo di grande consumo, e di altri modelli ancora più cari. La grande notizia è il lancio della 500 elettrica, la 500E, ma per ora si tratterebbe di farne alcune centinaia a destinazione solo dei concessionari. Poi per farne una vera macchina popolare, si aspettano gli incentivi del governo all’acquisto di questi modelli ecologici o presunti tali.
Per ora si tratta evidentemente di fare buona figura per percepire rapidamente i 6,3 miliardi evitando l’accusa di prendere i soldi dello Stato senza neanche cercare di salvare l’ambiente e di mantenere l’occupazione. Licenziare, lo si potrà fare dopo e nel frattempo si continua a pagare una parte del personale in cassa integrazione, con i soldi dell’Inps, a incentivare i licenziamenti degli operai legandoli alla Naspi, mentre si prendono le disposizioni per potere sfruttare al massimo la parte che viene al lavoro.
Così il 4 giugno la direzione aziendale di Mirafiori ha comunicato che voleva applicare l’orario già in vigore all’azienda di Melfi, cioè i 20 turni settimanali, un orario massacrante che comporta per esempio un turno del mattino in cui si lavora per sei giorni consecutivi, oppure un turno del pomeriggio che finisce il sabato alle 22 prima di ricominciare il lunedì mattina alle 6, e via di questo passo con un compenso irrisorio, la domenica diventando un giorno di lavoro ordinario. Il ricatto è implicito: sono tempi di crisi, devi accettare le nostre condizioni, e se no addio posto di lavoro. Sono gli stessi turni massacranti imposti agli operai dello stabilimento Sevel di Atessa dove le condizioni di lavoro sono molto dure.
Intanto la cassa integrazione viene prolungata anche a Pomigliano, una fabbrica FCA che avrebbe dovuto riaprire l’8 di giugno.
Il modello Fiat è chiaro: prevede di spremere come limoni gli operai che saranno in produzione mentre gran parte continuerà a rimanere a casa con lo stipendio misero della cassa integrazione. Nel frattempo, l’importante è di percepire i soldi che devono servire… agli azionisti. John Elkann, presidente della holding di famiglia Agnelli, la Exor, ci ha tenuto a precisare che i termini dell'accordo con la Psa Peugeot-Citroën “sono scritti nella pietra” e in particolare un suo punto cardine: “il maxi-dividendo straordinario di Fca da 5,5 miliardi previsto dalle intese sulla fusione”.
Un volantino firmato da sindacati di base dei vari stabilimenti Fiat denuncia: “la cassa integrazione ci fa perdere parecchie centinaia di euro, quasi al livello del reddito di cittadinanza. FCA si è presa i soldi per pagare i dipendenti e allora ci integri quello che perdiamo con la Cig”. Giustamente si rivendica “subito salario pieno in busta paga!”.
I lavoratori dovranno imporre condizioni di lavoro non massacranti che rispettino la loro salute e la loro sicurezza. Non dimentichiamo che tra la fine dell’anno scorso e i primi mesi di quest’anno sono già quattro i morti sul lavoro negli stabilimenti FCA senza contare le patologie invalidanti di cui soffrono molti operai dopo anni di lavoro in fabbrica. E di fronte alla crisi, dovranno imporre la spartizione del lavoro fra tutti, con un salario pieno e senza i ricatti.
A pagare devono essere i capitalisti, con i miliardi che hanno accumulati nelle loro casse.
Corrispondenza Torino