Il lavoro rende poveri?

C’è addirittura un’apposita rubrica, corredata da articoli circostanziati, su uno dei quotidiani più diffusi in Italia: è stata battezzata “Poveri con il lavoro”. A quanto pare, è la nuova normalità.


Ce lo suggerisce l’esperienza quotidiana, le nostre conoscenze, le persone che incontriamo ogni giorno, la prassi con la quale si scontra chi cerca lavoro e chi alla fine lo trova, la concorrenza spietata a cui siamo sottoposti sul mercato del lavoro. E naturalmente lo confermano statistiche, dati ufficiali e inchieste giornalistiche. Non a caso se ne stanno occupando anche i media. La gamma delle possibilità di sfruttamento è infinita, e ormai sembra procedere a briglia sciolta, come se fosse stato proclamato una specie di “Liberi tutti” che, oltre a consentire tacitamente le forme più brutali di abuso, consente anche di discriminare e additare come il male della società anche gli sfruttati per eccellenza, i lavoratori immigrati. Un anno di Governo sovranista ha continuato e ampliato in larga scala i danni già fatti da quelli precedenti: ne stiamo vedendo i frutti velenosi nello “sdoganamento” di ogni forma di razzismo e nella comoda via d’uscita del “dagli all’immigrato” per allontanare e deviare ogni possibile manifestazione di rabbia popolare. Un ambiente nel quale sguazzano felicemente le peggiori frange di farabutti, che possono proclamarsi apertamente razziste, anti-immigrati, anti-rom, etc. sentendosi pienamente legittimate a farlo, non di rado usufruendo anche della difesa delle forze dell’ordine.

La realtà dei fatti però ha la testa più dura, e non accorgersi della truffa seguitando a rincorrere il pifferaio magico può avere conseguenze molto dure per la classe operaia. Mentre slogan e parole a vuoto parlano di tutt’altro, nel decennio che va dal 2008 al 2017 i lavoratori italiani hanno perso l’8,7% del proprio reddito disponibile in termini di potere d’acquisto (La Repubblica Economia, 14.5.19), la quota di lavoratori sottoccupati è più che raddoppiata dal 2006, ed è ora la più alta tra i Paesi Ocse, e anche la quota di lavoro temporaneo da noi è superiore alla media Ocse, “con un’incidenza del tempo determinato al 15,4%, rispetto a una media dell’area dell’11,2” (La Repubblica, 26.4.19). E nonostante la miriade di tipologie contrattuali disponibili, gli imprenditori non si accontentano e trovano sempre nuovi modi per sottrarre ai lavoratori quote di salario, e lo fanno di norma in ogni settore.

In edilizia 150.000 occupati si vedono applicare un contratto a retribuzione più bassa di quella spettante: “L’imprenditore fa lavorare l’operaio in cantiere come edile ma gli applica un contatto diverso, ad esempio quello per colf/badante, giardiniere o metalmeccanico: tutte tipologie di contratto che prevedono uno stipendio base più basso. Il taglio in busta paga arriva al 30%”. (Corriere della Sera, 14.5.19) Oltre a non pagare il salario contrattuale, l’imprenditore risparmia anche sulla cassa edile, sulla mensa, sui bagni obbligatori, sul trasporto e in ultimo anche sulle 16 ore di formazione obbligatoria prima di entrare in cantiere, con buona pace della sicurezza e della prevenzione. Il tutto ovviamente quando non si parla di lavoro nero, tutt’altro che raro nel settore, come ognuno sa.

Stessi metodi di “dumping” contrattuale sono comunemente utilizzati anche nella logistica, come riporta un’altra indagine del Corriere della Sera (7.5.19): “Si assume un carrellista con un livello contrattuale inferiore ma poi gli si fa fare il lavoro specializzato. Guidare un muletto è lavoro specializzato ma il 90% è inquadrato con un livello più basso. In questo modo, dalla busta paga si rubano 1,50 euro l’ora. Non si dovrebbe fare ma è accettato da tutti. Diversamente, non vengono assunti dal committente.” Da notare che si rubano 1,50 euro l’ora su salari da 8,43 euro l’ora lordi, a gente che lavora - ad esempio - al mercato ortofrutticolo di Milano, sempre la notte, con orari che vanno dalle 23,30 alle 6 del mattino; quando non è costretta agli straordinari fino a mezzogiorno, per 2,88 euro l’ora in più. Questo solo per il 30-40% degli occupati: per gli altri c’è il lavoro nero. E qui non ci sono nemmeno i carrelli utilizzati dai “regolari”, è tutto carico e scarico a mano, anche 14 ore di lavoro per 30-35 euro al giorno, e lo fanno quasi sempre immigrati. Magari per gli stessi padroni che sostengono i partiti di Governo, e che in teoria dovrebbero plaudire ai porti bloccati, ai naufragi in mare e alle frontiere chiuse.

I lavoratori immigrati, d’altra parte, sono stati i protagonisti di alcune delle lotte più vivaci degli ultimi anni, proprio nel settore della logistica. Ed è proprio grazie alle lotte dei braccianti agricoli immigrati che è stato possibile il primo grande sciopero nei campi di Nardò, che ha portato a all’approvazione della legge contro il caporalato. Avere piena consapevolezza del proprio stato e individuarne i reali responsabili è un passo ineludibile per affrontare le battaglie future. Basta guardarsi indietro, e la storia del movimento operaio e dell’umanità stessa è molto prodiga di insegnamenti.

Aemme