L’agghiacciante carosello di abusi al quale l’obbligo di alternanza scuola-lavoro ha aperto le porte, non rallenta la sua corsa verso nuove vette di sconcerto.
Abbiamo letto sui quotidiani di come un consistente numero di imprenditori del settore turistico e della ristorazione stia sfruttando senza freno alcuno e pressoché gratis gli studenti, per evitare di assumere lavoratori con contratti regolari. Abbiamo letto di come gli studenti non possano sottrarsi a questo sfruttamento, che spesso comporta sia la permanenza al lavoro oltre gli orari stabiliti per legge, sia lo svolgimento di lavori per nulla formativi come ad esempio la pulizia delle latrine, pena un giudizio negativo da parte dell’imprenditore di turno, che influirà sull’esito dell’anno scolastico. Abbiamo letto poi delle speranze degli studenti, futuri proletari, che accettano queste umiliazioni speranzosi che le stesse possano, una volta terminata la scuola, aprire loro la strada alla tanto agognata assunzione con uno «stipendio» presso il ristorante o l’albergo che li aveva sfruttati durante l’alternanza, evidentemente inconsapevoli del fatto che questa speranza dovrà fare i conti con la possibilità che gli imprenditori avranno negli anni a venire, di beneficiare gratis e ad libitum delle successive leve di studenti.
Ebbene, dopo aver letto tutto ciò, dalla Brianza ci giunge l’ennesima conferma di come la borghesia, consideri come carne da tritare chi non ha la forza per potersi difendere adeguatamente: un imprenditore è arrivato addirittura ad abusare sessualmente di quattro studentesse minorenni che partecipavano ai progetti obbligatori di alternanza scuola-lavoro presso la catena di centri estetici di cui era titolare. La notizia Ansa riporta: «La pressione psicologica sulle vittime teneva conto anche del ruolo che il 54enne aveva nella loro vita scolastica. Era lui, infatti, a compilare la valutazione sul loro lavoro e a preparare la certificazione che occorreva per essere promosse», rivelando così, nelle modalità di preparazione del terreno sul quale sviluppare la violenza, una chiara matrice di classe.
Certo, una violenza del genere può essere esercitata da chiunque, aldilà della classe sociale di appartenenza, ma solo il fatto di possedere l’azienda consente al datore di lavoro di instaurare un clima di soggezione, di dominio reale. Un dominio reale che non deriva tanto dall’essere “ricchi” (condizione, peraltro, alla quale non tutti gli imprenditori necessariamente appartengono), ma piuttosto dall’essere titolari della facoltà di acquistare la forza lavoro altrui.
Come si traduce, all’atto pratico, questo dominio reale? Quali sono i poteri intrinseci alla figura sociale dell’imprenditore? Qual è il grado di influenza che questa minoranza di individui può esercitare sulla vita della maggioranza?
Esiste un primo livello: un “ti assumo” o un “non ti assumo / ti licenzio” detto da un imprenditore, rappresenta il discrimine tra la sopravvivenza o meno del lavoratore, o comunque tra la sopravvivenza e la vita di stenti e di espedienti. Gli altri livelli seguono a cascata il primo, essendone diretta conseguenza.
In base a dove vi saranno imprenditori disposti ad acquistare forza lavoro, il lavoratore si dovrà spostare; inoltre, se vorrà che l’imprenditore di turno preferisca la sua forza lavoro piuttosto che quella di un altro lavoratore più accondiscendente, dovrà accettare (specialmente nei periodi in cui l’offerta di forza lavoro supera la domanda) determinate condizioni che spesso assumono toni decisamente contro natura, come il lavoro notturno, o il “caldo consiglio” di evitare gravidanze rivolto da moltissimi imprenditori alle lavoratrici.
In altre parole, per rispondere sinteticamente alle domande poste in precedenza, l’imprenditore, ponendo come ricatto il venir meno delle condizioni di sopravvivenza del lavoratore, può decidere in base alle proprie esigenze produttive dove il lavoratore deve abitare, quanto tempo può dedicare a sé stesso e ai propri affetti, la quantità e la qualità dei beni di cui può entrare in possesso (in termini di potere d’acquisto salariale), quando e quanto può dormire e addirittura se può procreare oppure no.
Un potere insomma che avvicina i padroni, se lasciati liberi di agire indisturbati, a vere e proprie “divinità”, che si arrogano il diritto di decidere della vita e della morte dei lavoratori dipendenti, avvantaggiati soprattutto dall’attuale eccesso di offerta di forza lavoro.
Non sappiamo se queste sfortunate ragazze provengano da famiglie borghesi o proletarie, non sappiamo se una volta uscite da scuola diventeranno imprenditrici o lavoratrici dipendenti, e nemmeno ci interessa dal punto di vista della nostra analisi. Quel che ci interessa evidenziare è che l’alternanza scuola-lavoro è uno strumento nato per favorire le imprese alle quali vengono forniti giovani lavoratori non specializzati gratis. Giovani lavoratori, minorenni, totalmente ignari di cos’è un sindacato o un contratto nazionale, di quali diritti sono stati conquistati dalle lotte delle generazioni proletarie passate (e di quanti ne sono stati persi a seguito dell’arrestarsi di quelle lotte), per non parlare poi del concetto stesso di lotta di classe. Giovani lavoratori, quindi, indifesi dal punto di vista contrattuale e psicologico.
Queste quattro giovani lavoratrici (poiché tale era il loro ruolo sociale in quel momento) sono state costrette a provare prematuramente ed in maniera estrema le conseguenze del ricatto che scaturisce dalla divisione in classi della società. Conseguenze la cui portata potrà essere temporaneamente ridotta solamente tramite la ripresa delle lotte operaie, ma che solo un orizzonte rivoluzionario potrà definitivamente cancellare, assieme alle loro radici sociali.
Corrispondenza Milano