Circa cinque anni fa, nel 2012, nacque a Pavia l’Assemblea per il diritto alla casa.
Il problema delle abitazioni nella storia del capitalismo si è posto sempre a qualunque latitudine, con minore o maggiore drammaticità certamente, sotto forme più o meno diverse ed ampie, ma si presenta come una costante che tocca sempre nel vivo gli strati più sofferenti del proletariato, sia autoctono che immigrato.
Negli ultimi anni, nella realtà cittadina di Pavia, si è registrato un crescente disagio sulla questione della casa, sia nelle difficoltà a far fronte alle bollette di luce, acqua o gas, che soprattutto nel coprire le spese dell’affitto.
La Provincia Pavese dello scorso 29 gennaio riporta la testimonianza diretta di chi intercetta e prova ad organizzare istanze rivendicative di famiglie rimaste di colpo senza un tetto sopra la testa: «come assemblea per i diritti alla casa vediamo arrivare una media di cinque persone, spesso con famiglia, sfrattate la settimana».
Da questa esperienza ha poi preso vita, a inizio di quest’anno, il Comitato dei disoccupati e precari. Era parso evidente, nella pratica e nella logica delle cose concrete, come il problema della casa emergesse con l’assenza o la perdita del lavoro.
Infatti chi viene sfrattato, chi si trova con la casa pignorata, è frequentemente chi è rimasto privo di una occupazione. Sono molti i casi di persone rigettate dal mercato perché troppo poco anziani per andare in pensione, ma troppo anziani per essere assunti, troppo malati per effettuare certi lavori, o troppo poco malati per ottenere una piena invalidità. La teoria della mano invisibile del mercato capitalistico, che Adam Smith prefigurava avrebbe sistemato con armonia i tasselli del puzzle sociale, dimostra tutta la sua fantasiosa inconsistenza.
Tra gli obiettivi del comitato c’è quello di unire lavoratori e disoccupati, oltre che creare, così facendo, un’unità di questi al di là della nazionalità di provenienza.
Sia nell’assemblea per la casa che nel comitato dei disoccupati è forte la presenza immigrata: molti sono infatti egiziani, tunisini, marocchini. L’influenza di connotazioni religiose (con ricadute pratiche come il rispetto del ramadan), e a volte di concezioni retrive sul ruolo della donna, sono aspetti critici che riemergono puntualmente.
Tuttavia gli immigrati si sono dimostrati tra i più combattivi e determinati, nei picchetti, nelle assemblee dei quartieri popolari e nelle manifestazioni. Di frequente hanno inoltre già vissuto, nei propri Paesi d’origine, esperienze rivendicative. Se quindi, nella misura in cui è possibile generalizzare data l’eterogeneità delle situazioni, si assiste ad una maggiore disponibilità da parte di stranieri senza riserve all’organizzazione e alla lotta, è anche vero che il numero degli italiani toccati dal problema della casa, del lavoro e del precariato, con il riemergere del fenomeno dei cosiddetti working poor, è andato aumentando nell’ultimo periodo.
Stefano, facente parte del Comitato, riferisce che «moltissimi disoccupati sono italiani, tanti giovani ma anche persone di mezza età, cinquantenni lasciati a casa. E che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro». Il comune di Pavia, che ha una popolazione di poco superiore ai 70 mila abitanti, certifica i disoccupati nella cifra non irrilevante di 7 mila persone.
Uno strato di lavoratori che si ritrovano nell’esercito di riserva, valvola di sfogo funzionale all’infernale meccanismo capitalistico, si risvegliano nei fatti sottoproletari, a rischio indigenza. Ciò è tanto più drammatico quando si tratta di famiglie con figli a carico.
Un individuo, lasciato solo a se stesso, di fronte a contraddizioni che non trovano soluzione sociale e non possono farlo fino in fondo all’interno del modo di produzione capitalistico, può essere così portato a gesti tragici come quello che è giunto alle cronache il 27 giugno da Torino.
Davanti agli sportelli dell’Inps, nel quartiere popolare torinese di Barriera Milano, una donna di 46 anni si è infatti data fuoco, riportando ustioni gravissime. Era stata licenziata a gennaio, insieme ad altre colleghe, in un locale dove faceva pulizie da oltre dieci anni (quel lavoro è stato subappaltato ad una cooperativa esterna più a buon mercato). Si è trovata di colpo in un limbo, senza più stipendio, non aveva ancora ricevuto il Tfr ed era senza l’assegno di disoccupazione. Ha prevalso la disperazione.
Uniti invece, nell’organizzazione e nella lotta, si può trovare la forza che da soli non possiamo avere.
Tra i promotori del comitato è ben chiaro come nel collegamento con i lavoratori occupati e sindacalizzati ci sia la possibilità e la necessità di una battaglia comune. La parola d’ordine unificante, una storica rivendicazione del movimento operaio, della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è la proposta classista per contrastare la disoccupazione e al tempo stesso educare la classe sfruttata in una lotta comune. A tal proposito non è un caso, ed è positivo, che l’Assemblea per la casa e il Comitato disoccupati abbiano una sede fisica comune, un punto di ritrovo condiviso, con i sindacati di base quali l’Sdb, presenti nelle cooperative del pubblico impiego, e i SiCobas, forti nelle logistiche.
Non bisogna nascondersi che occorrerà un lavoro lungo, di rieducazione alla lotta di classe e all’organizzazione, un lavoro disseminato di difficoltà, per infondere coscienza e dare dignità ad una classe dominata a cui il capitalismo offre sempre più una realtà di violenta incertezza e sempre meno prospettive di pacifico benessere. Ma siamo al tempo stesso certi che nella nostra classe risiedono le necessarie energie.
Corrispondenza Pavia