Uno dei pilastri della politica di questo governo è la difesa di un’economia basata sui bassi salari. La questione è vecchia, ma ora è arrivata a livelli che molti economisti giudicano controproducente per la stessa “salute” del capitalismo italiano, al quale manca l’ossigeno dei consumi interni. Secondo uno studio della Cgil, nel 2023 oltre 6,2 milioni di lavoratori hanno percepito in un anno meno di 15mila euro lordi. Un rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro stima che le retribuzioni italiane, tra il 2008 e il 2024 abbiano perso l’8,7% del potere d’acquisto.
Comunque, la preoccupazione della Meloni non era certo quella delle condizioni dei lavoratori quando a Bologna alla tribuna dell’assemblea della Confindustria ha detto che “l’Italia oggi si presenta credibile davanti a un quadro economico e finanziario di estrema difficoltà. Lo testimonia il livello dello spread, più che dimezzato, la Borsa, il nuovo appeal dei titoli pubblici italiani...”. Ma ai lavoratori, evidentemente, le cose appaiono ben diverse. Le curve della Borsa, con i guadagni favolosi di banche e fondi di investimento, li toccano ben poco.
Naturalmente, il discorso è stato apprezzato dal neo presidente degli industriali, Emanuele Orsini che non ha perso l’occasione per chiedere altri 8 miliardi annui di sovvenzioni alle imprese “per favorire gli investimenti”. Una cifra che andrebbe aggiunta alle decine di miliardi che, a vario titolo, già finiscono nelle tasche dei “nostri” imprenditori, i quali, per altro hanno i braccini corti quando si tratta di mettere i propri soldi, e non quelli della spesa pubblica, nei famosi “investimenti”.
Un articolo di Alessandro Volpi, pubblicato su Altreconomia, richiama la realtà delle cose. In primo luogo, per quanto riguarda gli investimenti, le aziende italiane registrano “incrementi annui inferiori all’1% anche in presenza di significativi cofinanziamenti pubblici”. Poi c’è la questione del patriottismo economico, tanto caro alla destra al governo. Ancora dall’articolo citato: “è lunga la lista delle imprese che hanno sede fiscale all’estero. Solo per indicarne alcune: Luxottica, Pirelli, Illy, Segafredo, Mediaset, Campari, Prysmian, Enel, Eni, Stellantis, Cementir…”. Un’indagine pubblicata qualche anno fa da Panorama, mostrava come questa forma di elusione fiscale significasse circa 30 miliardi l’anno di mancati introiti per il fisco italiano. Di cui solo 10 vanno allo stato olandese e gli altri 20 nelle tasche degli industriali.
La borghesia italiana è particolarmente portata alla millanteria, alla frode, al raggiro di regole e leggi, così come all’estremo sfruttamento della forza-lavoro. Il governo le fornisce la migliore protezione possibile. Contro i sindacati non abbastanza...”patriottici” e contro i rigori eccessivi delle direttive europee, che finirebbero per avvantaggiare i capitalismi concorrenti.
La Meloni ha parlato di “economia resiliente”, riferendosi all’Italia e lisciando il pelo agli imprenditori. Tra i vanti di questo governo, si sa, c’è l’aumento dell’occupazione. Il rapporto Istat annuale, presentato a maggio, riporta il dato di 315mila lavoratori in più rispetto al 2023. Il fatto però è che l’80% di questo incremento è il risultato dell’innalzata età di pensionamento. Il resto è lavoro povero, pagato con salari miserabili.
Come indica l’Istat: nella fascia dei bassi salari figura quasi il 30% dei giovani.
Nel corso del 2024, inoltre, sono emigrati 191mila lavoratori in cerca di condizioni di vita migliori. L’economia resiliente non era un buon motivo, evidentemente, per restarsene in Italia.
Se gli interessi della borghesia italiana trovano oggi un solido presidio nel governo, quelli della classe lavoratrice non hanno ancora né una voce, né una protezione degni di questo nome. Quelli tra i lavoratori che hanno spirito combattivo, intelligenza e coraggio hanno un vasto terreno in cui impegnarsi.