I salari rimangono al palo

In Italia, nell’indifferenza generale, abbiamo la sigla del nuovo modello contrattuale, il documento conclusivo Confindustria/Cgil Cisl Uil firmato a fine febbraio, che apre la porta agli aumenti in base alla produttività. In Germania si firma il contratto dei metalmeccanici con novità sul piano normativo e aumenti che potrebbero sembrare notevoli, almeno negli standard del nostro Paese…


Non è un problema che riguarda solo l’Europa. La crisi ha fatto man bassa dei salari un po’ in tutto il mondo. Anche negli Stati Uniti, secondo un articolo interessante apparso su Repubblica Economia e Finanza del 10 febbraio scorso: “L’illusione dei salari in crescita: tanto rumore, poca sostanza in busta paga”. Il Financial Times ha provato a calcolare la media degli aumenti salariali in un periodo di sei mesi, e ne ha concluso che negli States hanno subito un rallentamento rispetto alla seconda metà del 2016. L’82% dei lavoratori continua a non vedere aumenti corposi da due anni, e il ritmo degli aumenti salariali cresce la metà di quanto cresceva prima della crisi; a far saltare verso l’alto la massa totale dei salari non è il salario dei lavoratori in generale, ma quello in particolare di manager e dirigenti.

Anche i salari dei metalmeccanici tedeschi, secondo l’articolista, in realtà non aumentano granché con l’ultimo contratto del 6 febbraio: l’aumento del 4,3% non è annuale ma applicato nell’arco di 27 mesi. E secondo l’opinione di Carsten Brzeski, capo economista di ING-DiBa, (la banca ING Direct), “un aumento nominale così su più di due anni creerà non più, ma meno pressione al rialzo dei salari, rispetto agli ultimi anni”.

Le imprese si sono impegnate ad assicurarsi i loro margini di profitto agendo in tutto il mondo sui salari, e per il funzionamento del sistema capitalistico a lungo andare questo può essere un problema. Le Istituzioni bancarie infatti lamentano la bassa inflazione, quando non la deflazione, che non è certo uno stimolo economico; e la bassa inflazione registra, ma anche genera, la scarsa vitalità dell’economia, i pochi acquisti, il poco giro di denaro, i salari striminziti. Sfortunatamente ogni azienda vorrebbe pagare il meno possibile i propri dipendenti, e vendere il più possibile, al maggior prezzo possibile, la propria merce. E’ una caratteristica fondamentale dell’economia borghese, quello che la saggezza popolare definirebbe: “volere la botte piena e la moglie ubriaca”. Quindi tutti i capitani d’industria sono pronti a deplorare l’effetto depressivo che bassi salari e precarietà hanno sull’economia in generale, ma nessuno è disposto a rinunciare ai vantaggi privati che assicurano queste caratteristiche del mercato del lavoro. Così, secondo l’articolo riportato più sopra, Fondo Monetario Internazionale e Banche centrali sono pronte a chiedere rigore nei conti pubblici, riforme delle pensioni, e normative che limitino i diritti dei lavoratori, ma poi si aspettano e auspicano aumenti salariali, per generare giro di denaro, inflazione e guadagni.

Il nostro problema è un altro: dobbiamo vivere, e generalmente spendiamo in beni e servizi tutto quello che riceviamo in forma di salario, mentre chi intasca somme stratosferiche in rendite o profitti, per quanto possa consumare, non arriverà mai a consumare tutto quello che guadagna. Per questo, e perché siamo la maggioranza, oltre a essere i motori della produzione diventiamo anche il motore dei consumi: capitale industriale e capitale finanziario lo sanno bene, ma non saprebbero come far quadrare il cerchio, e tutto sommato non se ne curano. Il sistema tira a campare e a spremere tutto ciò che può spremere a breve termine, il lungo termine – ma spesso anche il medio – non rientra nei piani.

Noi abbiamo un altro problema: dobbiamo pensare all’immediato, e anche al futuro delle nuove generazioni. Quindi, benché l’articolista di Repubblica osservi: “Si rafforza il sospetto che, a frenare le buste paga, non sia l’alternarsi ciclico di recessione-ripresa, ma un profondo mutamento strutturale nei rapporti di forza fra imprese e lavoratori”, abbiamo fiducia che sia un rapporto di forze non necessariamente perdente per i lavoratori, e che comunque la lotta paghi sempre. Sicuramente gli opinionisti borghesi tenderanno a presentare la classe operaia di altri Paesi come la diretta concorrente della classe operaia del proprio Paese, così come tendono a presentare nello stesso modo gli immigrati rispetto alle classi popolari del proprio Paese; probabilmente hanno la possibilità di narrare le fandonie più insensate per costringere la classe operaia a subire la propria condizione. Non hanno però la possibilità di eliminare tutte le contraddizioni di un sistema irrazionale e assurdo, nemmeno quella alla base del rapporto tra sfruttati e sfruttatori. Prima o dopo la classe operaia ne dovrà essere consapevole fino in fondo.

Aemme