I lavoratori dell’outlet di Serravalle hanno iniziato ad alzare la testa

Il Serravalle Designer Outlet è un enorme centro commerciale orientato al commercio di abbigliamento e affini, inaugurato nel 2000 a Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria. Di proprietà della società britannica McArthur Glen, l’outlet ospita, su di un’area di 51.500 mq, ben 250 negozi affittati perlopiù dalle grandi griffe della moda. Con questi numeri, l’outlet di Serravalle è risultato nel 2016 il più grande d’Europa. Architettonicamente è stato progettato per somigliare ad un centro storico, con tanto di case posticce ospitanti i negozi. Una vera “città ideale” della borghesia, dove non si vive, ma si compra e si vende merce (compresa la merce forza-lavoro) per 361 giorni l’anno.

Gli oltre 2.000 lavoratori sono lì a sorridere ai clienti tutti i sabati, tutte le domeniche e, da che gli orari commerciali sono stati liberalizzati nel 2012, tutte le feste tranne quattro: Capodanno, Pasqua, Natale e S.Stefano. Molti di loro non hanno ormai più una soddisfacente vita sociale ed hanno dovuto sacrificare i loro interessi e la loro vita famigliare. Nonostante questi ritmi di lavoro massacranti, la McArthur Glen, ha deciso che da quest’anno, «per far fronte alle esigenze di un turismo sempre più internazionale», anche le giornate di Pasqua e S. Stefano andavano sacrificate sull’altare del profitto. Le giornate di apertura dell’outlet sarebbero passate da 361 a 363 all’anno. Per un certo numero di lavoratori, questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: a fronte di questa decisione, alcuni dipendenti si sono organizzati, coordinati dalla Filcams-Cgil (alla quale si sono unite in un secondo tempo anche Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil), dichiarando, a seguito di alcuni incontri infruttuosi con la direzione, il primo sciopero nella storia dell’outlet di Serravalle.

Attraverso una serie di assemblee, venivano stabilite le modalità di conduzione dell’agitazione (4 ore di sciopero con blocco delle rotatorie di accesso ai centri commerciali sabato 15 aprile, e sciopero senza presidi per la giornata di Pasqua, domenica 16 aprile), mentre la direzione già si attivava per fomentare un clima di paura, volto a disarmare psicologicamente i lavoratori, specie i più ricattabili, affinché si togliessero dalla testa l’eventuale idea di partecipare alla mobilitazione.

Alle 9:00 di sabato 15 aprile, i lavoratori bloccavano le due rotatorie di accesso all’intero polo commerciale ospitante l’outlet, il supermercato Iper, Scarpe&Scarpe, ed il Serravalle Retail Park, in una mobilitazione alla quale partecipavano circa 400 tra lavoratori e attivisti sindacali. In appoggio ai lavoratori dell’outlet erano in sciopero anche alcune giovanissime lavoratrici dell’attiguo Serravalle Retail Park. Un gesto per nulla scontato al giorno d’oggi, se si pensa che dette lavoratrici non avrebbero dovuto prestare servizio a Pasqua, quindi di fatto, se osservato da un punto di vista meramente individualistico, il problema non le toccava.

Stante la congerie di sigle sindacali presenti (dai metalmeccanici della Fiom alla funzione pubblica sino ad arrivare ai pensionati), la manifestazione appariva da subito come una mobilitazione d’apparato delle tre sigle confederali. Le interviste da parte dei media ai dirigenti sindacali Cgil e Cisl ivi presenti, rivelavano come la rivendicazione originaria del “no” al lavoro durante le festività di Pasqua e S. Stefano, fosse già stata accantonata dai confederali per essere da loro convertita in un “sì” al lavoro nelle dette festività, purché adeguatamente retribuito. Nel frattempo prendeva corpo lo spettacolo penoso dei clienti che, non potendo raggiungere in auto la loro terra promessa, oltrepassavano a piedi i presidii (alcuni transitavano addirittura dai campi) per non perdere il proprio appuntamento con lo shopping. Taluni di loro sfoggiavano atteggiamenti di manifesta provocazione nei confronti dei lavoratori: chi squadernava sorrisi irrisori quasi stesse assistendo ad una manifestazione folcloristica, chi addirittura si esibiva in gesti offensivi. Mescolati ai clienti, vi erano moltissimi crumiri, a causa dei quali solo 4 negozi su 250 risultavano chiusi.

Il giorno successivo, domenica di Pasqua, chi accedeva all’outlet non aveva nessuna percezione del fatto che vi fosse uno sciopero in corso. I sindacati, non garantendo quel giorno il loro appoggio tramite presidii o presenza fisica di funzionari e militanti, avevano di fatto abbandonato i lavoratori a loro stessi. Come il giorno precedente i negozi chiusi erano solo quattro su 250, tuttavia, al contrario del giorno prima, l’assenza dei blocchi alle rotatorie aveva permesso ai clienti di entrare indisturbati.

L’esperienza di lotta dei lavoratori dell’outlet di Serravalle, se guardata in termini meramente numerici, è stata una sconfitta, che però non va assolutizzata, poiché in essa è cresciuto uno dei tanti germogli, che nonostante il clima avverso perdurante, promettono potenzialità incredibili.

Chi, infatti, sabato 15 aprile si fosse trovato a percorrere a piedi gli 1,4 km di strada compresa tra le due rotatorie bloccate, avrebbe assaporato un assaggio della potenza che possono esprimere i lavoratori se solo si organizzano e iniziano a pensare come classe: quei parcheggi sconfinati del gigantesco polo commerciale di Serravalle erano completamente vuoti ed immersi in un silenzio surreale. Di fronte ad un pugno di lavoratori che si sono mossi per quattro ore, quei giganteschi centri commerciali che accolgono ogni domenica 40.000 visitatori, si sono trasformati in cattedrali nel deserto. In quel momento il capitale appariva nudo. Chi sabato 15 aprile si fosse trovato presso i presidii, sarebbe stato travolto dalla dignità di giovani lavoratrici precarie, le quali consapevoli di rischiare il posto erano lì in strada, a sfidare il proprio datore di lavoro mettendoci la faccia in prima persona per porre in essere rivendicazioni collettive, che se conquistate, sarebbero andate a favore anche di quei colleghi che si sono invece distinti per crumiraggio. Giovani lavoratrici poco più che ventenni, che muovevano i loro primi passi sull’aspro sentiero della lotta di classe.

Sono germogli, questi, che se lasciati nelle mani di sedicenti sindacati occupati a conciliare gli opposti e inconciliabili interessi di imprese e lavoratori e a soffocare le rivendicazioni di questi ultimi, rischiano di appassire.

Corrispondenza Alessandria