Ovviamente non potevano essere lasciati in pace i dipendenti pubblici (malgrado il massacro del personale sanitario e le enormi difficoltà dei lavoratori della scuola) e la macchina massmediatica non ha potuto fare a meno di puntare anche nell'occasione della pandemia il dito sui “garantiti fannulloni che prendono lo stesso lo stipendio” e che facendo lo smart-working hanno pure affossato gli affari dei piccoli ristoratori.
Nessuno si è accorto che lo smart-working è stato imposto per ragioni di sicurezza, che il dipendente pubblico lavora regolarmente in tele-lavoro, come in ufficio, perché la sua produzione sono la gestione amministrativa dei problemi dei cittadini e delle imprese, che i lavoratori pubblici che non possono tele-lavorare per la natura delle loro mansioni han dovuto utilizzare tutti i loro giorni di ferie e di permessi, nessuno sa che in molti enti agli smart-workers sono stati tolti i buoni pasto e anche per questo non vanno a pranzare nelle trattorie a portata di mano (quando sono aperte).
Per finire lo smart-working è subordinato non al lavoro svolto di fatto, ma al raggiungimento di un fantomatico obiettivo da raggiungere (quasi sempre impossibile da realizzare). Nello stesso tempo si sentono le proposte insistenti della classe padronale e dei suoi portavoce perché lo stipendio sia sempre più legato al raggiungimento degli obiettivi (in poche parole il vecchio stipendio a cottimo, tanto caro ai padroni) e sempre meno a quote fisse stabilite dai contratti nazionali. Sorge legittimo il dubbio che i dipendenti in “lavoro agile” vengano usati come cavie per il ripristino di un’antica e subdola forma di sfruttamento e per la demolizione definitiva del contratto nazionale. Ragioniamoci sopra, non lasciamo che ci dividano tra lavoratori più o meno garantiti o non garantiti, uniamoci e stiamo pronti a reagire.
Corrispondenza Torino