Vedere l’erba dalla parte delle radici: la crisi del Monte dei Paschi dalla parte dei dipendenti
Se ad oggi il Monte dei Paschi di Siena ha ancora 27 miliardi di euro di crediti deteriorati, cioè i prestiti cosiddetti “in sofferenza”, che difficilmente riuscirà a farsi restituire, di certo la responsabilità non si può ascrivere ai lavoratori, e in molti casi nemmeno alla crisi economica. Tra questi crediti infatti non ci sono solo piccoli e medi imprenditori stroncati dal crollo degli affari o famiglie ridotte sul lastrico che non ce la fanno più a pagare il mutuo. Anzi, molti sono i debitori eccellenti, nei confronti dei quali MPS ha operato politiche di credito spregiudicate, elargendo milioni senza esigere la restituzione; tra questi ci sono nomi come De Benedetti, Marcegaglia, Caltagirone o i costruttori romani Mezzaroma. In pratica al grande capitale è concesso di avere crediti enormi, capaci di ridurre la banca con l’acqua alla gola, per poi invocare il salvataggio con i soldi pubblici, e giustificare l’inasprimento delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Se diventa doveroso estorcere fino all’ultimo centesimo a chi ha contratto un mutuo per comprare la prima casa, e il pignoramento in caso di insolvenza, altrettanta inflessibilità non è dovuta al grande capitale.
La crisi economica ha aggravato la situazione, ma non è la sola responsabile. La crisi del MPS è cominciata prima, con l’acquisto di Banca Antonveneta a un prezzo di 10 miliardi, quando era stata ceduta solo pochi mesi prima al gruppo Santander per 6,6 miliardi di euro. Ovviamente questo “affarone” non è un’operazione finanziaria dovuta a semplice incapacità, ma nasconde volontà precise, che i dipendenti non possono conoscere, ma di cui subiscono tutte le conseguenze. La progressiva finanziarizzazione dell’economia aveva già avuto conseguenze sull’organizzazione del lavoro anche prima, con l’introduzione dei managers, (troppi e non si sa quanto pagati, dato che nemmeno i sindacati sono riusciti a conoscere le loro retribuzioni) e quindi con le pressioni commerciali sempre più insostenibili, come la vendita di prodotti finanziari con caratteristiche dubbie.
La crisi del MPS è una crisi dentro la crisi: e per ogni crisi c’è un tagliatore di teste chiamato a cancellare le condizioni di lavoro esistenti. Al MPS nel 2012 è arrivata Ilaria Dalla Riva, ex dirigente TNT e Sky, mai stata in una Banca. Ha cominciato mandando a casa un centinaio di dirigenti, e sostituendoli con altrettanti sodali degli Amministratori Delegati. Ha revocato il contratto integrativo e ha inaugurato i contratti di solidarietà: 6 giorni di lavoro e di paga in meno all’anno. Infine ha dichiarato gli esuberi, il blocco delle assunzioni e fino a 5 anni di scivolo per il pensionamento; non esistono cassa integrazione o altri ammortizzatori sociali per i lavoratori delle banche, ma un fondo di solidarietà alimentato dai dipendenti stessi, che in pratica pagano lo stipendio a chi va in pensione in anticipo. E’ un’opportunità, ma c’è sempre un margine di rischio.
Non è difficile capire il clima che si è creato da allora in poi. All’aumento dei carichi di lavoro si sono sommate le pressioni per vendere, vendere, vendere. I dirigenti chiamano a tutte le ore (a inizio mattina, a metà mattina, a conclusione dell’orario…) per sapere quanti prodotti finanziari, quante carte di credito, quante prepagate hai collocato. Dietro il ricatto del posto di lavoro, ti fanno vendere di tutto. Se non vendi, non sei capace e non sei produttivo. Le file dei clienti si allungano e tutto ciò che devi fare per dare un minimo di assistenza non è considerato nemmeno lavoro: se il cliente vuol controllare l’estratto conto, se non funziona il suo bancomat, se il saldo è in rosso, se vuole informazioni sull’internet banking, non è lavoro – perché alla fine non avrai venduto niente. D’altra parte disagi e file alla cassa sono funzionali alla situazione, perché così il cliente si stanca e i servizi impara a fornirseli da sé, con l’home banking e i conti on-line. Il futuro è fatto di filiali interamente automatizzate (alcune esistono già). In teoria il cliente insoddisfatto può cambiare banca, ma in pratica ormai sono tutte così e perciò tocca adattarsi.
Da quando è cominciata la crisi, diminuisce ogni anno lo stipendio, e aumenta in compenso la pressione fiscale. Tra un nuovo assunto e un lavoratore di anzianità media la differenza può essere del 30%, anche di più se si fa il confronto con un lavoratore molto anziano. Lo straordinario deve essere preventivamente autorizzato e in teoria lo è, ma se ci si attarda oltre l’orario per motivi imprevedibili, come un cliente che ha un problema, o per rifornire il bancomat che era rimasto vuoto, è tutto lavoro volontario e non pagato.
Devi recuperare i crediti e sei bravo solo se lo fai, ma come si può essere bravi a far pagare il mutuo a un disoccupato? Se perdi il cliente, è colpa tua perché non sai risolvere i problemi. Se denunci una disfunzione, non sei abbastanza elastico e capace di superarla. Ma se c’è bisogno di uno strumento qualsiasi per agevolare il tuo lavoro, il costo non è sostenibile e devi arrangiarti. Ti mandano alla guerra con le scarpe di cartone.
Quante carte di credito da 30 euro bisogna vendere per pagare i debiti della Marcegaglia o di De Benedetti?