Se si dovesse dare retta alle statistiche ufficiali la crisi in Grecia sarebbe "finita" questo perché, dopo cinque anni di recessione che si sono mangiati un terzo della ricchezza del paese, l'economia ha ricominciato a crescere.
Ma gli aridi numeri delle statistiche non possono certamente farci vedere le vere condizioni di vita della popolazione. Non è però difficile capire la realtà: oltre un quarto dei greci è disoccupato, i salari sono stati decurtati del 30-35%, le tasse sono aumentate in maniera esponenziale, la sanità, la scuola, i trasporti pubblici, conducono una vita sempre più precaria, lo stato sociale è stato semi-smantellato.
Non sarà certo questa ripresa dell'economia che ridarà alla popolazione le condizioni di vita esistenti fino a sei o sette anni fa. Queste sono oggi tornate indietro di vent'anni e in più con l'aggravante di un tasso di disoccupazione inaudito.
Il primo ministro Samaràs, nell'enfasi della campagna per le elezioni europee, ha dichiarato che contava di ridurre la disoccupazione di 500.000 unità entro il 2018. Una dichiarazione chiaramente ottimista, fatta più che altro per arginare la perdita del consenso elettorale del suo partito. Nessuno può sapere come andrà l'economia greca, europea e mondiale da qui a cinque anni, e se anche veramente la disoccupazione fosse ridotta di 500.000 unità il suo tasso rimarrebbe molto alto, intorno al 16%.
La reazione di lavoratori greci alla politica di austerità imposta con la crisi è stata piuttosto vivace. Ma queste energie messe in moto con grande sacrificio e generosità non hanno dato risultati, la prima responsabilità di questo, oltre all'obbiettiva difficoltà della situazione, va imputata alle burocrazie sindacali e alle organizzazioni riformiste, il SYRIZA e il KKE, che sono egemoni nel movimento dei lavoratori.
Senza un guida di classe le lotte sono rimaste frammentate e la loro intensità è chiaramente diminuita.
Dalla fine dell'inverno una delle lotte che tiene banco è quella degli oltre 500 addetti alle pulizie che dipendono dal ministero dell'economia: tutte donne, tutte dipendenti direttamente dal pubblico impiego, tutte licenziate in tronco e col salario garantito solo fino al mese di settembre. Questo manipolo di lavoratrici (il loro salario si aggira intorno ai 600 euro al mese, saranno loro il problema del debito pubblico greco?) manifesta quasi tutti i giorni e presidia l'ingresso del ministero. Più di una volta sono state caricate dalla polizia, ma non si sono tirate indietro. Naturalmente il sindacato si è guardato bene di mobilitare gli altri lavoratori in segno di solidarietà e per allargare la lotta, ha preferito invece spostare lo scontro sul livello legale. Un ricorso in tribunale aveva reintegrato le lavoratrici al lavoro; il governo non solo non le ha fatte rientrare ma ha ricorso in appello e ha vinto (e questo ci spiega da che parte stanno i tribunali), così è sfumata anche questa la possibilità.
D'altra parte è proprio sull'aspetto istituzionale che il SYRIZA, esaltato per il risultato delle elezioni europee che lo ha incoronato primo partito, e il KKE giocano le loro carte politiche. L'appuntamento è per l'inizio del prossimo anno quando ci sarà l'elezione del capo dello stato, la speranza dei riformisti è che il governo Néa Dimokratía-PASOK non riescano a racimolare il 60% dei deputati necessari per eleggerlo. Si andrebbe così, come recita la costituzione, alle elezioni anticipate che il SYRIZA conta di vincere.
Nel frattempo anche lo scontro per la privatizzazione della società produttrice di elettricità la DEI, e come ogni privatizzazione chiaramente comporterà gravi sacrifici per chi ci lavora, è tutto sul piano parlamentare: invece di spingere a uno sciopero di solidarietà con i lavoratori della DEI che sono stati precettati, il SYRIZA ha annunciato che raccoglierà 120 firme di deputati necessarie ad indire un referendum che stabilisca la sorte della DEI.
Oggi in Grecia, in una situazione oggettivamente difficile, si mostra sempre di più evidente la necessità di una organizzazione indipendente del proletariato, che combatta prima di tutto la borghesia greca e il suo governo, che denunci le illusioni riformiste e allontani i lavoratori dai partiti che le generano e che con la loro politica non possono che portare i lavoratori all’ennesima sconfitta.
Corrispondenza da Atene