Italpizza Modena: la magistratura contro gli operai
Tra i pochi commentatori che si interessano delle condizioni dei lavoratori, c’è chi ha sottolineato che il procedimento avviato contro più di cento operai impiegati nello stabilimento Italpizza di Modena vedrà il più gran numero di imputati operai nella storia della città.
Vera o no che sia questa osservazione, di certo si tratta di un esempio di mobilitazione di uomini e risorse dell’apparato di stato contro la classe operaia quando questa alza la testa. Per questo motivo la lotta Italpizza assume un’importanza generale. Non solo per questo, in realtà. Infatti, è la lotta in sé, per i suoi obiettivi e per il contesto nel quale si è svolta che ha molto da insegnarci e da svelarci.
I 67 lavoratori che hanno ricevuto l’avviso di “fine indagini”, così come i successivi 53, sono coinvolti in una serie di scioperi e picchetti, iniziati a dicembre del 2018, contro la società Italpizza che li sfrutta con il classico sistema degli appalti e subappalti a cooperative e ditte. Un sistema che ha consentito a questa azienda di inquadrare gli operai che eseguono il lavoro manuale, ovvero la quasi totalità dei circa mille lavoratori, in tipologie di contratto che non c’entrano niente con le loro mansioni. E qui c’è un primo punto che caratterizza l’attuale fisionomia del capitalismo, in particolare quello italiano: si è consolidata nel corso degli anni la prassi padronale di affidare parti sempre più consistenti di mansioni industriali a imprese di servizi che non osservano il contratto di categoria dell’impresa principale. In questo caso sarebbe stato il contratto degli alimentaristi. Gli operai che lavorano materialmente a preparare le pizze surgelate sono invece inquadrati con il contratto degli addetti alle pulizie.
È un esempio di una realtà più ampia: un numero enorme di lavoratori, industriali di fatto, sottoposti ad un medesimo centro direzionale, sono frantumati in ambiti lavorativi che ne ostacolano oltre tutto l’unione sul terreno sindacale. La lotta degli operai Italpizza ha messo in evidenza questo dato, che è anche sociologico: la classe operaia industriale esiste, ed è occupata, nei fatti, in unità molto più numerose di quello che ci dicono le statistiche ufficiali. Quindi è anche potenzialmente più forte di quanto si creda.
Gli operai delle cooperative che lavorano per Italpizza si sono resi conto di questa forza. Hanno alzato la testa. Per questo hanno subito manganellate e lacrimogeni e sono stati messi sotto inchiesta. Chiedevano e chiedono di essere assunti direttamente dall’impresa (internalizzazione) che ora gli sfrutta con gli appalti, chiedevano e chiedono l’applicazione di un contratto coerente con il lavoro che fanno. Chiedono un trattamento umano nei turni e negli orari di lavoro. La singolare accusa che si muove agli scioperanti è quella di essere loro gli “aggressori”. Anche qui c’è un insegnamento di cui fare tesoro: gli apparati di stato possono apparire benevoli e compiacenti con la classe operaia quando gli scioperi e le manifestazioni si tengono nei limiti “tollerabili”, ma superati questi limiti, scattano tutti i meccanismi di difesa che rivelano l’indissolubile legame e la subordinazione delle istituzioni agli interessi della borghesia.
Nel corso dei mesi della vertenza, i padroni di Italpizza hanno ceduto parzialmente, concordando con CGIL, CISL e UIL, peraltro estranei alla conduzione delle lotte, l’assunzione di 600 addetti alla produzione e l’applicazione del contratto degli alimentaristi ma…a far data dal 2022. Ma questi “cedimenti” sono sempre stati accompagnati da provvedimenti persecutori. Come quando si è ordinato un trasferimento a tutte le operaie iscritte al sindacato di base (Si-Cobas), il vero animatore di questa vertenza, da Modena a Bologna. Un provvedimento poi ritirato per merito della mobilitazione degli operai. Una delle provocazioni più vergognose è stata quella di inviare successivamente le stesse operaie a togliere il guano dalle tettoie del capannone. Oltretutto in dicembre, quando la neve rende tutto più scivoloso, e senza imbracature di sicurezza.
Nel corso della loro battaglia, questi lavoratori hanno dato l’esempio di quanto sia indispensabile l’unità di classe. In grandissima parte immigrati da tutti gli angoli del mondo, non si sono lasciati fermare dai pregiudizi nazionali o razziali hanno combattuto insieme, donne e uomini di tutti i paesi. E questa è senza dubbio un’altra lezione.
R. Corsini