È trascorso ormai un secolo dall'episodio di lotta operaia passato alla storia come "la Settimana rossa", un avvenimento che ha esaltato la volontà di lotta e di riscatto del movimento operaio italiano che si era conquistato un peso e un ruolo sempre più rilevante nella scena politica del paese.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l'Italia non si era limitata a gettare le basi per essere un paese industriale, ma era già pienamente in concorrenza con gli altri paesi imperialisti per spartirsi colonie e mercati. Il capitalismo e la grande industria avevano messo radici non solo a nord, nel triangolo industriale, ma anche in altre importanti realtà nel resto della penisola.
Questo aveva naturalmente dato vita ad un proletariato moderno, sempre più organizzato dal Partito Socialista e dal sindacato confederale della CGL: oltre a queste organizzazioni continuavano ad avere un peso, all'interno del movimento operaio, gli anarchici e i sindacalisti rivoluzionari dell'USI. Da aggiungere inoltre l'importante ruolo del movimento bracciantile della val Padana e di alcune zone del Meridione.
Per contrastare la crescita del movimento operaio i governi borghesi presieduti da Giolitti tentavano di coinvolgere l'ala più riformista del partito Socialista all'interno dello Stato, smussando così la carica rivoluzionaria espressa dalle classi subalterne.
Nel 1912, per "integrare" i socialisti nello Stato, Giolitti varò la nuova riforma elettorale che allargava il diritto di voto a milioni di cittadini maschi: non era ancora il suffragio universale, ma gli elettori erano ormai una moltitudine e non più una ristretta elite selezionata dal censo. Contemporaneamente, per assicurarsi una salda maggioranza, si accordò con i cattolici per averne l'appoggio elettorale: e fu grazie a questo patto, conosciuto come patto Gentiloni dal nome del dirigente cattolico che lo accettò, che vinse le elezioni politiche del 1913.
Ma questo tentativo di incanalare le contraddizioni sociali nella dialettica parlamentare trovò meno di un anno dopo smentita nei fatti della “Settimana Rossa”.
Con la guerra di Libia, combattuta fra il 1912 e il 1913, era fortemente cresciuta la propaganda antimilitarista da parte dell'ala massimalista dei socialisti, dei sindacalisti rivoluzionari e degli anarchici. Erano stati fondati dei comitati contro "I battaglioni di disciplina" dove venivano relegati i soldati "insofferenti". In questo clima vanno inseriti due episodi: il caso del soldato Augusto Masetti, che aveva sparato al proprio colonnello e per questo era stato rinchiuso come "pazzo" in un manicomio criminale, ed il caso di Antonio Moroni inviato in un battaglione di disciplina per le sue idee antimilitariste di sindacalista rivoluzionario.
Il 7 giugno 1914 si svolse ad Ancona un comizio di protesta a favore dei due: arringavano la fitta folla l'anarchico Errico Malatesta, Pietro Nenni (allora repubblicano), il segretario della Camera del Lavoro ed altri militanti. Quando,finito il comizio, la folla cercò di sfilare in corteo, la forza pubblica aprì il fuoco uccidendo tre dimostranti. Immediatamente l'indignazione per questi omicidi infiammò tutta la città: in poco tempo Ancona è in mano ai dimostranti, che formano un comitato rivoluzionario cittadino mentre carabinieri e polizia sono costretti a rinchiudersi nelle caserme. La notizia si diffonde velocemente in tutta Italia e in decine di città da Torino a Bari, da Napoli a Milano inizia un grande movimento di sciopero e si verificano violenti scontri di piazza. Il movimento esprime subito la sua radicalità, la stessa CGL, diretta dai riformisti, è costretta a dichiarare lo sciopero generale.
Per alcuni giorni il potere borghese sembra vacillare, lo sciopero dei ferrovieri paralizza il paese ma anche i movimenti dell'esercito, dei carabinieri, della polizia. In molte località, i lavoratori cercano di controllare il territorio come stava succedendo ad Ancona e in alcune zone della Romagna. Carabinieri e polizia non bastano più e spesso sono affiancati dall'esercito. Dal nord al sud si contano, durante gli scontri, decine di morti e centinaia di feriti, migliaia di arresti. La tattica del primo ministro Salandra, subentrato da poco a Giolitti, riprende quella adottata dai governi precedenti in questi casi: ci si contrappone al movimento al momento che nasce, se quest'azione non ha successo si lascia sfogare il movimento contando da un lato sul fatto che è senza una direzione, dall’altro sull’azione dei riformisti che cercano di placare le acque, levando così le castagne dal fuoco al governo. Le masse si trovano così senza guida, dati che l'ala massimalista del Partito Socialista, allo stesso modo dei sindacalisti rivoluzionari dell'USI, mostrerà tutti i suoi limiti non riuscendo ad associare alla sua fraseologia rivoluzionaria una concreta strategia di lotta, mentre gran parte dei dirigenti socialisti cercano di far rientrare la protesta.
Già la sera del 10 giugno la CGL annuncerà la cessazione dello sciopero generale, ma nonostante questo aperto tradimento, lo sciopero continuerà in molte località per alcuni giorni. Cesserà del tutto solamente il 15 giugno, quando ad Ancona sbarcheranno reparti dell'esercito per riprendere il controllo della città e il ripristinare l'ordine costituito.
I sette giorni di lotta avevano esaltato le potenzialità rivoluzionarie del proletariato italiano, ma ancor di più avevano dimostrato i limiti dell'ala massimalista del partito socialista e il pieno tradimento dell'ala riformista: incapace la prima di offrire una prospettiva rivoluzionaria, la seconda era ormai in piena combutta con la borghesia.
La Prima Guerra Mondiale, che scoppierà poche settimane dopo, troverà un proletariato italiano con queste gravi deficienze, e solamente la Rivoluzione d'Ottobre chiarirà alle sue avanguardie la necessità di costruire un partito rivoluzionario che si ponga il compito di portare il proletariato alla conquista del potere.
Mauro Faroldi