Germania - Gennaio 1919 - Quando i dirigenti socialdemocratici fecero regnare l’ordine borghese a Berlino

Dai primi giorni di novembre 1918, i marinai, i soldati e gli operai tedeschi avevano costituito, in tutto il paese, innumerevoli Consigli destinati, secondo le loro speranze, a sostituirsi al potere di quella borghesia che li aveva trascinati nel primo macello mondiale. La rivoluzione si stava diffondendo rapidamente.

Il 10 novembre, mascherato con il nome ingannevole di Consiglio dei commissari del popolo, un governo provvisorio, composto da dirigenti del SPD (socialdemocratici), al quale alcuni indipendenti dell’USPD ( socialisti ostili alla guerra ) apportarono la loro garanzia, era venuto in soccorso a una borghesia ancora immobilizzata di fronte al movimento rivoluzionario, proponendosi per assumere il fardello del potere. Alla sua testa, Friedrich Ebert, presidente della SPD, accettò il ruolo di cancelliere.

La rivoluzione nel frattempo continuava a farsi strada. “Gli operai, temporeggiava Ebert nel giornale Vorwaerts del 12 dicembre, non hanno da preoccuparsi per le conquiste sociali della rivoluzione. Il profitto capitalista sarà duramente attaccato”. Ma malgrado il ritorno della pace, si moriva ugualmente nelle città tedesche, di fame, di freddo. La macchina economica sprofondava: le officine chiudevano, la disoccupazione si estendeva. E nei Consigli, i lavoratori più coscienti chiedevano impazientemente di una resa dei conti. A Muelheim, l’8 dicembre, un Consiglio di operai e di soldati aveva osato di procedere all’arresto di alcuni magnati capitalisti. Il 18 dicembre a Berlino 250.000 lavoratori, riuniti all’appello di Karl Liebknecht e degli Spartakisti, manifestarono a favore del potere ai Consigli, la revoca del governo Ebert, l’armamento del proletariato.

Chi ha le armi?

Ma era la borghesia, la cui paura aumentava, ad armarsi. Le divisioni ritornate dal fronte, per quanto tenute sotto controllo dai loro ufficiali, si rivelarono poco “sicure”. Nel frattempo lo stato maggiore, avendo previsto da qualche tempo questa disgregazione, aveva esercitato pressioni per la costituzione dei “corpi franchi”, truppe di volontari organizzate in previsione della guerra civile. Alla fine di dicembre, il generale Maercker, ex ufficiale delle truppe coloniali, aveva insediato presso Berlino 4000 dei suoi mercenari. Il 4 gennaio erano 80 mila.

I ministri USPD dettero le dimissioni dal governo il 29 dicembre per non portare il peso della politica sempre più apertamente contro-rivoluzionaria di Ebert. Furono rimpiazzati da dei “socialisti” maggioritari. Tra questi Gustav Noske, vecchia conoscenza dell’Alto stato maggiore prussiano, per aver fatto, durante la guerra, da collegamento tra la SPD e quest’ultimo. Noske, nominato due mesi prima governatore a Kiel per contrastare, isolandolo, l’ammutinamento dei marinai, prese immediatamente in mano la direzione delle questioni militari. Investito di pieni poteri dal suo collega Ebert e dall’Alto stato maggiore, ebbe a dichiarare: “Qualcuno deve ben assumersi il ruolo di carnefice, io non rifiuterò questa responsabilità”.

I “socialisti dello stato maggiore” al governo, non contenti di essersi dati anima e corpo al servizio della borghesia, si prepararono ad andare fino al bagno di sangue per annientare la minaccia costituita dai lavoratori rivoluzionari e dai loro capi. La stampa socialdemocratica versava continuamente fiumi di calunnie su quelli che erano in procinto di fondare, il 31 dicembre, il KPD (S), il Partito Comunista di Germania (Lega Spartakus ), che raggruppava circa tremila militanti.

La socialdemocrazia accetta il ruolo di carnefice

La prova di forza, desiderata, preparata contro il proletariato berlinese, ebbe il suo inizio dopo la revoca, il 4 gennaio del 1919, del prefetto di polizia di Berlino, il socialdemocratico indipendente Emil Eichhorn. Essendo percepito dai lavoratori della regione come un alleato, la sua estromissione innescherà ben presto, il 5 gennaio, un movimento di sciopero e riunirà delle decine e forse delle centinaia di migliaia di manifestanti, dirigenti operai in testa.

“Se le folle avessero avuto alla loro testa dei capi che avessero saputo esattamente dove andare, constaterà più tardi Noske, prima di mezzogiorno si sarebbero impadronite di Berlino”, tanto erano impressionanti i cortei operai che occuparono per delle ore le strade. Dirigenti, socialdemocratici indipendenti, delegati rivoluzionari delle fabbriche e comunisti-spartakisti, come Liebknecht, si erano riuniti a lungo per analizzare i rapporti di forza e decidere del seguito da dare alla mobilitazione.

Questa assemblea di responsabili giudicò, a maggioranza, che la situazione evolveva rapidamente e che i rapporti di forza non erano lontani da permettere ai lavoratori, berlinesi, di impadronirsi del potere. Essa designò un “collettivo” di 52 membri, un Comitato rivoluzionario incaricato di dirigere il movimento in questo senso e di costituirsi in governo provvisorio in attesa della rielezione dei Consigli e di un congresso. La direzione del giovanissimo KPD, nonostante tutto, temeva che fosse troppo presto per scatenare la battaglia per il rovesciamento del governo Ebert-Scheidemann-Noske. Ma i suoi membri presenti all’assemblea si allinearono nondimeno al punto di vista del Comitato…

L’indomani lo sciopero era generale. Le grandi tipografie dei giornali, fra cui quella del Vorwaerts, furono occupate, così come il telegrafo e la prefettura di polizia. Se la mobilitazione era reale ma confusa, le parole d’ordine erano chiare: annullamento della revoca di Eichhorn, disarmo delle truppe contro-rivoluzionarie, fino alle dimissioni del governo Ebert. Furono ripetute da tutti, compresi molti operai che ancora alla vigilia della mobilitazione erano vicini alla SPD. Ma sulle centinaia di migliaia di manifestanti solo una decina di migliaia era pronta a prendere le armi.

La settimana di sangue

Alla sera, mentre i dirigenti comunisti, Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Leo Jogisches in testa, decidevano di battersi a fianco dei lavoratori più determinati, alcuni dirigenti dell’USPD tentarono di negoziare con il governo. Nel frattempo Noske aveva già stabilito il suo quartier generale fuori da Berlino. Il piano di riconquista della città era pronto, ogni corpo franco aveva in carico un settore.

L’11 Noske, alla testa dei corpi-franchi, entrò a Berlino. Le truppe si abbandonarono ad un vero massacro. I nidi di resistenza furono annientati, l’uno dopo l’altro, con il cannone o con il lanciafiamme. Gli assassini in divisa non facevano prigionieri. Meglio addestrati e meglio armati, più numerosi, i corpi franchi ebbero la meglio su alcune migliaia di combattenti eroici ma isolati.

Per diversi giorni i soldati del “cane sanguinario” Noske fecero regnare il terrore bianco. “L’ordine regna a Berlino” scrive con rabbia Rosa Luxemburg il 14 gennaio, inserendo questo scacco tragico del proletariato berlinese nella “serie di disfatte storiche che costituiscono la fierezza e la forza del socialismo internazionale”.

Essendo partito l’ordine di colpire il movimento alla sua testa,i dirigenti rivoluzionaria furono catturati. Arrestati, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg furono freddamente assassinati. La responsabilità del governo era totale.

Questa selvaggia offensiva portata avanti dai socialdemocratici al governo, appoggiata dallo stato maggiore, non mise fine all’onda rivoluzionaria. Per qualche mese ancora, altri scioperi, altre lotte furono organizzati e anche qui, nei grandi centri industriali, i lavoratori rivoluzionari furono colpiti dalla polizia e dai corpi franchi.

Il KPD, privato dei suoi dirigenti più capaci e più incontestati, messo fuori legge, dovette dedicarsi a ricostituire le proprie forze. Tanto più che alla fine di gennaio perdette anche Franz Mehring, dirigente storico, anziano e malato, poi, in marzo, nel corso di una nuova insurrezione berlinese, Leo Jogisches, anche lui assassinato al momento di un “tentativo di fuga”.

Per diversi anni ancora, la Germania conobbe degli episodi rivoluzionari. Ma questa prima grave disfatta del movimento operaio tedesco, che lasciò la Russia dei Soviet isolata, pesò gravemente sull’evoluzione del movimento comunista. E, a causa di questo, aprì la via anche ad un’altra disfatta, di una portata incalcolabile, quando, nel 1933, la borghesia tedesca insediò Hitler al potere.

Ma, quattordici anni prima, gli Ebert e i Noske gli avevano spianato la strada.

Da “Lutte Ouvrière”, 16 gennaio 2009