Nel mese di agosto, il capo del governo israeliano ha annunciato il suo piano di occupazione militare di Gaza, ovvero del piccolo quarto del territorio che il suo esercito non controlla ancora, che comporta lo sfollamento forzato del milione di abitanti sopravvissuti tra le rovine verso un'ipotetica zona al riparo dai bombardamenti, dai droni e dagli spari dei carri armati.
Nonostante le proteste internazionali, nonostante il malcontento di una parte dell'esercito, nonostante il rifiuto di molti riservisti di lasciarsi nuovamente mobilitare, il gabinetto di sicurezza ha approvato il piano e le prime operazioni sono cominciate. Non importa che una parte sempre più ampia della popolazione – la maggioranza, secondo gli ultimi sondaggi – chieda a Netanyahu di fermare la guerra e lo abbia dimostrato con manifestazioni sempre più numerose e persino con una giornata di sciopero generale. Persino il capo dell'esercito, Eyal Zamir, si è opposto al progetto di Netanyahu, in nome dei 49 ostaggi ancora prigionieri, del rifiuto manifestato da numerosi soldati e riservisti di continuare la guerra e dell'inutilità, secondo lui, di un simile intervento con il pretesto di sradicare Hamas. Ma ogni giorno l'esercito israeliano continua a uccidere e il numero dei morti, civili, soccorritori, personale sanitario degli ospedali, giornalisti, continua ad aumentare.
Da qualche tempo, alcuni dirigenti occidentali, in primo luogo quelli europei, stanno prendendo le distanze dalla politica del governo Netanyahu. Di fronte alle migliaia di morti a Gaza, il cui numero ha superato 62.000, hanno accumulato ipocrite condanne morali, convocato un ambasciatore qui, annunciato un disinvestimento nelle imprese israeliane là, o la sospensione di alcune forniture di armi... Ma i rappresentanti della borghesia europea non osano nemmeno sospendere l'accordo commerciale con Israele del 2000 che regola gli scambi nel settore agricolo e industriale. Questo la dice lunga sul peso degli articoli inclusi in detto trattato sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici!
Corrotto, perseguito dalla giustizia, aggrappato al suo incarico in una fuga in avanti verso la catastrofe, il primo ministro ha cercato di rispondere alle proteste in una conferenza stampa. Affermando di non avere «altra scelta che portare a termine il lavoro e sconfiggere definitivamente Hamas», ha denunciato una «campagna mondiale di menzogne» che ha avuto il cinismo di paragonare a quelle che hanno preceduto il massacro degli ebrei nel 1939-1945. L'esistenza di una carestia a Gaza è denunciata come un'invenzione della propaganda e qualsiasi critica alla politica israeliana come «antisemitismo»!
In realtà, il governo israeliano può perseguire questa politica perché finora ha beneficiato del sostegno incondizionato degli Stati Uniti. Questo sostegno non risale all'arrivo al potere di Trump. Da anni lo Stato di Israele beneficia del sostegno militare e finanziario delle potenze occidentali perché, minacciando costantemente i popoli e gli Stati vicini, permette all'imperialismo di dominare e controllare l'intero Medio Oriente. Questo gli dà i mezzi per perpetuare l'oppressione, in particolare quella del popolo palestinese.
Gli ultimi sviluppi della situazione nella regione hanno ulteriormente rafforzato la posizione di Israele e gli hanno permesso di attaccare non solo Gaza e la Cisgiordania, ma anche il Libano, la Siria, l'Iran e persino lo Yemen. Si comporta come una potenza coloniale che minaccia tutti i popoli del Medio Oriente e non può che suscitare in essi un odio crescente. In Libano, in Cisgiordania, a Gaza, ciò non può che far nascere nuove vocazioni di combattenti che rafforzeranno in particolare Hamas, che Netanyahu pretende di sradicare. La guerra dei dirigenti israeliani è una guerra senza fine, pagata dai popoli, compreso il popolo israeliano, costantemente mobilitato nel ruolo di carceriere e carnefice dei palestinesi.
La politica di Netanyahu è una fuga in avanti che porta ad un aggravamento del disastro. È con questa politica pro-imperialista che la popolazione e i lavoratori israeliani devono rompere. Ma la lotta contro questa politica di oppressione e di guerra è anche quella di tutti i lavoratori, all'interno delle stesse metropoli imperialiste, perché è quella dei loro propri dirigenti.
V L