Prima della sua elezione nel maggio scorso, il presidente francese Emmanuel Macron l'aveva annunciato: si sarebbe servito della procedura delle “ordinanze” per quello che chiama la riforma del mercato del lavoro e che in realtà è una distruzione sistematica del Codice del lavoro e dei diritti dei lavoratori.
Le ordinanze sono dei decreti che il governo è abilitato a emanare evitando la discussione parlamentare, a differenza di quel che era successo per la prima “Legge lavoro” varata da Hollande durante la primavera del 2016, che per parecchi mesi aveva lasciato spazio a manifestazioni di protesta. Questa volta Macron vuole agire più rapidamente. Durante l'estate il governo ha giocato la commedia del cosiddetto “dialogo sociale” consistente in una serie di riunioni separate con i dirigenti delle confederazioni sindacali. Allo stesso tempo si dedicava alla stesura di queste “ordinanze”, scritte praticamente sotto dettatura del Medef, equivalente transalpino della Confindustria. Varate il 22 settembre, queste ordinanze sono immediatamente applicabili, salvo una verifica parlamentare entro tre mesi che, visto la maggioranza di cui dispone Macron, sarà una semplice formalità.
Bisogna dire che tutte le confederazioni sindacali si sono prestate alla sceneggiata del cosiddetto dialogo. Come se veramente i lavoratori avessero potuto sperare di cavarne qualcosa. Poi, dopo l'estate, le direzioni sindacali hanno assunto atteggiamenti diversi tra loro. La CFDT di Laurent Berger è da tempo l'interlocutore privilegiato dei governi e come al solito si è rifiutata di organizzare qualsiasi manifestazione, anche se adesso è costretta a dirsi “delusa” per il fatto che il governo non ha tenuto conto delle sue timide osservazioni. FO (Force Ouvriére) di Jean-Claude Mailly ha adottato lo stesso atteggiamento, differentemente da quello che aveva fatto durante il movimento del 2016, al quale aveva partecipato dall'inizio alla fine. Probabilmente la sua adesione alla linea del “dialogo” è motivata dalla speranza di ottenere qualche cosa in cambio dal governo, e non è da escludere che effettivamente ci sia stata una qualche trattativa sotto banco.
La CGT invece ha indetto alcune giornate di sciopero e manifestazioni: il 12 settembre, il 21 settembre e il 19 ottobre. Gli altri promotori sono stati il sindacato FSU, presente nell'educazione, il sindacato studentesco UNEF e la piccola confederazione Solidaires. Bisogna aggiungere la giornata del 10 ottobre specifica per il pubblico impiego, organizzata da tutte le confederazioni. In questa dispersione c'è ovviamente un elemento di concorrenza tra le varie confederazioni sindacali, in cui la CGT cerca di mettere in difficoltà la CFDT e FO nei confronti della loro base. Può apparire come un sindacato combattivo, tanto più che per ora non corre alcun rischio di essere scavalcato. Per ora un risultato è che Mailly è stato criticato e si è trovato in minoranza nella direzione del proprio sindacato, che si parla di un'altra giornata di manifestazioni, forse questa volta sostenuta da tutti, ed anche di una nuova giornata di manifestazioni del pubblico impiego.
Le tre giornate all'appello della CGT sono state ben partecipate, con centinaia di migliaia di manifestanti in tutto il Paese, perché le manifestazioni sono state organizzate anche nelle città piccole. Così è stata anche la giornata del 10 ottobre del pubblico impiego. Naturalmente i partecipanti alle giornate di manifestazioni sono i lavoratori più coscienti e combattivi e una questione importante è l'atteggiamento di tutti gli altri. Nell'immensa maggioranza sono ostili a Macron e alla sua politica e coscienti di subire un'offensiva senza precedenti di governo e padroni. Ma d'altra parte molti sono rassegnati, o comunque convinti che non sarà possibile impedire questi attacchi. Quindi esitano a lanciarsi in una vera prova di forza con il governo per costringerlo a ritirare le ordinanze.
Comunque l'offensiva non è finita. Dopo quella che viene già chiamata la “Loi travail XXL”, Macron progetta attacchi sul sistema d'indennizzo della disoccupazione, sulle pensioni, contro i ferrovieri. Vorrebbe essere una specie di Thatcher francese e afferma che condurrà l'offensiva fino in fondo. Ma è già evidente che non è così forte come vorrebbe apparire. Per esempio il governo ha rapidamente ceduto davanti agli scioperi dei camionisti e dei portuali.
Il punto centrale delle ordinanze è di rovesciare la cosiddetta “gerarchia delle norme”, così da consentire ai padroni di far passare accordi aziendali che rimettano in discussione tutte le garanzie degli accordi di categoria o della legge stessa. Nel caso dei camionisti e dei portuali, la conseguenza poteva essere una forte riduzione del salario, composto in gran parte di premi. Di fronte alla forte reazione di questi lavoratori, governo e padroni hanno immediatamente garantito che questi premi sarebbero stati integrati nella parte del salario su cui gli accordi aziendali non possono incidere, il che è già una deroga alle ordinanze.
Questo rapido cedimento di fronte a categorie di lavoratori che hanno una forte capacità di bloccare il paese mostra almeno una certa prudenza del governo. Nonostante i suoi proclami, teme le reazioni operaie che si potrebbero generalizzare. Il problema per la classe operaia è proprio di prendere coscienza di questa debolezza del governo e, a fronte di questo, di riprendere coscienza della propria forza collettiva. Per ora, nonostante tutte le tattiche e le concorrenze sindacali, le giornate di manifestazioni successive sono utili da questo punto di vista. Ma è chiaro che i lavoratori sono sottoposti a un’offensiva generale da parte del governo e del padronato e che la loro risposta deve essere altrettanto generale.
A.F.