La ricostruzione che segue è opera di un operaio chimico e delegato sindacale di un'industria farmaceutica di Parma, che il 14 gennaio si è recato ad incontrare i facchini in lotta alla Bormioli di Fidenza. La Bormioli è una storica industria del vetro di Parma e provincia, sorta a Fidenza nel 1825. Oggi conta 8 stabilimenti in tutta Europa con 2.000 dipendenti. Nel mese di dicembre la Bormioli di Fidenza finisce sulle prime pagine dei giornali locali per una vertenza tra la dirigenza e i facchini della cooperativa che ha in appalto il magazzino dello stabilimento. Il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un accordo dai sindacati confederali, Filt-Cgil e Fit-Cisl, e dalla nuova cooperativa, Feyman s.c., che subentrerà alla vecchia cooperativa nella gestione del magazzino.
L'opposizione dei facchini all'accordo è stata immediata. Questi lavoratori il 23 dicembre iniziavano a scioperare. Dall'inizio della vertenza ad oggi i facchini non hanno smesso di lottare, nonostante vi sia stato l'intervento repressivo da parte della polizia. I facchini, immigrati di diverse etnie, che lavorano per la cooperativa sono circa 60, di cui 35 iscritti al S.I. Cobas. Sono proprio i lavoratori iscritti a questo sindacato che hanno immediatamente proclamato lo stato di agitazione con uno sciopero e dei picchetti davanti ai cancelli del magazzino. Un esempio di lotta che spesso appare svanito tra le fila del proletariato italiano. I lavoratori in lotta sostengono che l'accordo firmato dai confederali peggiora le loro condizioni lavorative e salariali. Nella nuova cooperativa verrebbero assunti a tempo indeterminato solo i 35 che oggi hanno questo contratto, ma con un inquadramento inferiore a quello che avevano con la precedente cooperativa, nei fatti un declassamento dal 4° al 5° livello. Non gli verrebbero riconosciuti gli scatti di anzianità ottenuti con la cooperativa precedente ed inoltre perderebbero il diritto di avere come unica sede di lavoro lo stabilimento di Fidenza. Il giorno 14 gennaio la presenza davanti ai cancelli era di una trentina di lavoratori, tutti iscritti al S.I.Cobas.
All'interno del magazzino erano presenti soltanto i facchini con il contratto a tempo determinato. Questi ultimi, posti sotto la pressione di una condizione particolarmente precaria, hanno accettato il contratto firmato da Cgil e Cisl. Il picchetto, sorvegliato da due pattuglie di carabinieri, ha dovuto affrontare momenti di tensione quando un autotrasportatore ha provato a sfondare con il proprio tir il blocco dei facchini davanti ai cancelli.
Al primo autotrasportatore se ne è aggiunto subito dopo un secondo, che ha provato a sfondare il muro di lavoratori dalla parte dell'ingresso. I facchini non hanno esitato a mettersi davanti al camion, gridando che erano disposti a tutto pur di portare a casa quello che gli spettava. Nonostante i toni accesi e gli atteggiamenti aggressivi indirizzati contro di loro, il picchetto dei facchini è riuscito a fermare l'uscita dei due camion carichi di merce.
Altro momento significativo del pomeriggio è stato quando sono usciti dalla fabbrica gli altri operai del magazzino, italiani assunti direttamente dalla Bormioli. I facchini non hanno gradito la mancata solidarietà da parte di questi lavoratori, manifestando la loro rabbia con fischi e vivaci grida di disapprovazione. Alcuni facchini hanno anche notato che nel gruppo di lavoratori che uscivano dal magazzino alcuni erano nuovi. La direzione evidentemente ha già messo mano alla sostituzione dei facchini in lotta. La scena ha offerto purtroppo una chiara dimostrazione di scollamento tra due realtà proletarie. Da una parte gli ultimi, quelli che vivono nell'infima lacuna, quelli che avanzano rivendicazioni e impostano lotte di difesa con la forza di chi non dispone di quelle pur minime reti di sicurezza su cui può ancora contare un proletariato da lungo tempo radicato nel tessuto sociale di un capitalismo come quello italiano. Quelli che dalla loro condizione di marginalità rispetto alle dinamiche del welfare istituzionale o famigliare che si sono sviluppate in Italia traggono una carica di energia di classe talvolta esemplare, ma anche connotati di separazione e di scarsa possibilità di comunicare rispetto al grosso del proletariato italiano, che richiedono sforzi e impegno ulteriori nel necessario lavoro di organizzazione di classe.
Dall'altra un proletariato autoctono che, seppur sempre più sotto attacco da parte della classe padronale, può in genere disporre ancora di risorse che alimentano la percezione di una marcata diversità rispetto alle leve del proletariato immigrato e su cui può far leva la borghesia nella sua opera di divisione e di indebolimento della classe lavoratrice.
Il pomeriggio del 14 gennaio, i proletari italiani andavano via sotto i fischi dei facchini immigrati, mentre questi ultimi accendevano il fuoco in un bidone per scaldarsi, vista la lunga notte di picchetto che li aspettava. Su tutto questo scenario era impresso il segno deturpante e avvilente del vecchio, ma ancora efficace, gioco del padrone per dividere la classe operaia. La lotta internazionalista del proletariato cosciente non è sogno utopistico ma esigenza vitale.
Corrispondenza Parma