Ma dalle mogli degli operai giunge un prezioso insegnamento: senza la lotta ogni successo sarà effimero
La Fiat è stata condannata dal Tribunale di Roma per discriminazioni contro la Fiom di Pomigliano. 145 lavoratori iscritti a quel sindacato dovranno essere assunti alla newco Fabbrica Italia. 19 di loro avranno pure diritto a 3000 euro di risarcimento.
Il giudice, dunque, ha dato ragione al sindacato dei metalmeccanici che aveva fatto causa alla Fiat per aver escluso dal rientro in fabbrica i suoi tesserati, “colpevoli” di non aver approvato l’accordo, siglato da Fim e Uilm, che cancellava ogni diritto e peggiorava le condizioni di lavoro.
E’ ovviamente una buona notizia, e non solo per gli operai direttamente interessati dalla sentenza, ma per tutti i lavoratori. Guai però ad illudersi che una sentenza possa far cambiare il vento oggi favorevole ai padroni. Intanto perché la causa vinta dagli operai Fiom riguarda solo il primo grado di giudizio. A tale proposito dobbiamo ricordare che la Fiat ha già annunciato ricorso e la Uilm Campania sta pensando di fare lo stesso anziché intentare anch’essa causa all’azienda per chiedere il rientro dei suoi iscritti, a riconferma della sua natura di servo sciocco del padrone. Il potenziale più distruttivo di tale illusione consiste però nel pensare di poter delegare ai giudici la soluzione dei problemi della classe lavoratrice. Ciò non aiuterebbe di certo i lavoratori a comprendere che solo contando sulle proprie forze potranno aver ragione di una situazione che oggi li vede sulla difensiva, costretti a pagare i conti salati della crisi.
Le mogli degli operai di Pomigliano lo hanno capito molto bene. «Non bastano le suppliche e le richieste di miracoli, non si può pensare di poter risolvere la propria vertenza rivolgendosi alle banche per sbloccare i soldi per il loro padrone e al Papa per sollecitare il miracolo». Così esse hanno risposto alle lettere delle donne degli operai di Termini Imerese indirizzate al Papa e a Napolitano ricordando che «c’è un detto, “aiutati che Dio t’aiuta” perché il miracolo da solo non arriva né basta per sopravvivere» e invitandole a scendere in piazza con loro per difendere i diritti dei propri uomini.
Le donne di Pomigliano, sempre a fianco dei loro mariti nella protesta contro l’assenza di prospettive per gli oltre 3000 lavoratori in cassa integrazione da tre anni (la scadenza a luglio del 2013 per cessazione dell’attività), si sono riunite nella sede dello Slai Cobas per costituire un comitato di lotta in difesa del lavoro dei loro mariti insieme alle mogli degli operai della Fincantieri di Castellammare di Stabia, della Cantieri Navali di Trapani e di tante altre realtà industriali in crisi. Un’idea nata in seguito alle pressioni esercitate dalla direzione dello stabilimento di Pomigliano durante una visita delle famiglie degli operai (vedi “L’Internazionale” di dicembre 2011, p.3).
«Hanno usato le famiglie per far vedere quello che non c’era quando hanno voluto magnificare il piano Marchionne, – racconta una cassintegrata Fiat di Pomigliano e moglie di un cassintegrato dello stesso stabilimento – hanno invitato le mogli ed i figli degli operai a visitare la fabbrica per mostrare quanto fosse tutto bello. Insomma, bastava convincere le mogli per tenere buoni gli operai. E siamo proprio noi mogli, ora, a ribellarci, saremo noi a spronare i nostri mariti a lottare mettendoci in gioco per prime. Scenderemo in piazza, andremo davanti alle fabbriche e lotteremo tutte unite, insieme ai nostri uomini, in difesa del nostro futuro». Una promessa che ritorna nelle parole della moglie di un operaio dell’indotto della Fincantieri di Castellammare: «Abbiamo deciso di dire basta perché da un momento all’altro a 8000 persone di Fincantieri e dell’indotto sarà negata una vita degna di questo nome. Non ci appelleremo più ai Santi, ci mobiliteremo per rivendicare i nostri diritti».
Corrispondenza da Napoli