Fiat Pomigliano e Mirafiori facce della stessa medaglia

Reparti confino, contratti di solidarietà, cassaintegrazione, trasferimenti


Il 25 settembre dello scorso anno alla Fiat di Mirafiori partivano i contratti di solidarietà per circa 2400 lavoratori delle carrozzerie dopo più di cinque anni di cassa integrazione. Nel riportarne la notizia su L’Internazionale di quel mese, stigmatizzammo le dichiarazioni di giubilo di tutti i sindacati firmatari dell’accordo, compresa la Fiom.Apparve chiaro sin dall’inizio che i contratti di solidarietà erano lo strumento dell’azienda per dichiarare 1300 esuberi.Fiat calava una vera e propria spada di Damocle sui lavoratori: su quelli in cassa, su chi aveva sempre lavorato,su chi rientrava in fabbrica ad orario ridotto e a singhiozzo.A tutti si presentava la prospettiva di uscirne definitivamente tra qualche anno alla scadenza dei contratti di solidarietà. Questi ultimi, spacciati come una buona alternativa alla cassa integrazione, sono in realtà una potenziale anticamera dei licenziamenti.

A distanza di nemmeno sei mesi, si ha la conferma di quanto fossero fuori luogo quelle dichiarazioni improntante ad un incomprensibile ottimismo. La “solidarietà” viene gestita tutta dall’azienda con pratiche palesemente discriminatorie, con i sindacati firmatari che stanno passivamente a guardare. Nemmeno una parola, ad esempio, sulla decisione dell’azienda di relegare 240 lavoratori in un vero e proprio reparto confino, le cosiddette “Esperienze”, solo perché ritenuti potenziali portatori del “virus” della lotta o perché considerati “improduttivi” dopo essere stati spremuti per anni usurandoli nelle catene di montaggio. La loro mansione oggi è quella di preparare i pezzi destinati alle linee di produzione poste a chilometridi distanza.

Viene loro impedito, dunque, di poter entrare in contatto con gli altri lavoratori, di conoscere in tempo reale quanto accade negli altri luoghi di lavoro. In una parola, essi vivono nell’assoluto isolamento. E se qualcuno osa alzare la testa viene punito con misure repressive. È accaduto in occasione dello sciopero dell’8 marzo contro la violenza sulle donne. Il giorno prima, l’azienda ha ordinato ai capi del reparto “Esperienze” di lasciare a casa per il resto della settimana gli operai che presumibilmente avrebbero scioperato. Ancora una volta la Fiat, oggi Fca,ha mostrato il vecchio volto, quello di chi storicamente sta nel campo di chi la violenza e la sopraffazione la mette in atto.

Quella violenza e quella sopraffazione che i lavoratori di Pomigliano hanno subito nel passato e che continuano a subire oggi. Il trattamento riservato agli operai del reparto confino di Mirafiori ricorda quello vissuto anni fa dai 316 operai del reparto di Nola, tenuti lontano dalle linee produttive di Pomigliano.Irientri in fabbrica, alternati a lunghi periodi di cassa integrazione,erano fatti di interminabili ore di ozio forzato in attesa di qualche cassetta di pezzi da smistare. In quel periodo furono molti i suicidi tra gli operai e non mancarono i licenziamenti di chi si opponeva a quello stato di cose, come i cinque lavoratori licenziati nel 2014, recentemente reintegrati dal tribunale di Napoli, ma che la Fiat continua a tener fuori. Oggi, Fiat ripropone la stessa politica vergognosa, di nuovo con l’approvazione di Fim, Fiom, Uilm e Fismic.Dal 28 febbraio scorso,550 operai dello stabilimento di Pomigliano devono “pendolare” in pullman tra Pomigliano e Cassino ogni giorno lavorativo per produrre i nuovi modelli della fabbrica frusinate.Lavoratori “validi”che verranno sostituiti da altri ritenuti dall’azienda inidonei perché usurati dai ritmi e finora lasciati per lo più in cassa integrazione. Si prospetta, come per Nola e Mirafiori, la creazione di un altro reparto confino, in questo caso grande come lo stabilimento campano? Si è già detto che il trasferimento coatto è stato accettato anche dalla Fiom, pronta a firmare in cambio di un posto al tavolo per “negoziare” il solito fantomatico “piano industriale” promesso fumosamente dalla Fiat. Tale decisione dell’azienda è un nuovo segnale molto preoccupante per il futuro degli operai di Pomigliano, dal momento che Fiat ha recentemente annunciato di voler chiudere, a partire dal 2018, la linea della Panda (destinazione Polonia), unico modello prodotto in una fabbrica dove oggi 3217 lavoratori sui 4500 in organico sono in regime di contratto di solidarietà, a suo tempo rifiutato persino dalla stessa Fiom, un sindacato piuttostoschizzofrenico.

Tutto ciò avviene nel quadro di una politica del gruppoFca mirante a sostituire le utilitarie con le auto di gamma alta in tutti gli stabilimenti, non solo in quello di Pomigliano, per il quale, tra l’altro, Marchionne fino a ieri aveva preconizzato un glorioso futuro fondato sulla progressiva espansione del mercato per quel modello che ora vuole produrre altrove. Oggi questa multinazionale dell’auto registra straordinarie performance chiudendo il 2016 con un utile netto di 1.8 miliardidi euro, venti volte maggiore dei 93 milioni di quello dell’anno precedente (da IlSole24ore del 26 gennaio 2017)). Un balzo gigantesco dei profitti ottenuto ovviamente a discapito dei salari e delle condizioni di lavoro degli operai. Nello stabilimento di Melfi, ad esempio, torna la cassa integrazione, questa volta sulle linee dei Suv. Non per questo l’azienda è disposta a far venir meno i 20 turni, sottoponendo così i lavoratori da un lato a carichi di lavoro durissimi e dall’altro a riposi forzati.

Tutti i lavoratori del gruppo Fca dunque, non stanno meglio di quelli confinati, tra cassa integrazione, contratti di solidarietà e ritmi così intensificati da non poter nemmeno rispettare i bisogni fisiologici.

Pomigliano e Mirafiori sono facce della stessa medaglia: Fiat ha spremuto gli operai in passato e continua a farlo oggi, usando, tra l’altro, i soldi di tutti i lavoratori per non pagare del suo (i contratti di solidarietà e la cassa integrazione sono pagati con i soldi dell’Inps, cioè con i soldi dei lavoratori) mentre i profitti crescono. E tutto ciò senza garantire un bel niente per quel che riguarda il futuro lavorativo. Nessuno dei lavoratori Fiat deve sentirsi più garantito degli altri, tutti si è sfruttati fino in fondo per poi essere buttati via quando non si serve più.

L’esperienza ha dimostrato che a forza di subire nel silenzio i lavoratori arretrano sempre di più. Per questo è tempo di ricostruire l’unità nella lotta, reagendo insieme, organizzandosi in difesa del proprio salario, del proprio posto di lavoro, del proprio domani. Lo si può e, pertanto, lo si deve fare.

M.I.