Fca: boom di utili in America e cali produttivi in Europa. In Italia è sempre più fosco il futuro degli operai del gruppo

Non è certo una novità che Fca abbia al centro delle sue strategie la conquista di uno spazio sempre più competitivo nel mercato mondiale dell’auto spostando il suo asse d’intervento oltreoceano. Lo confermano gli utili registrati dal gruppo nel terzo trimestre 2017: 910 milioni di euro, il 50% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. I risultati migliori riguardano proprio la zona Nafta e l’America Latina. Il titolo di Fca ha chiuso così, lo scorso ottobre, a +5,08% (14,88 euro). Ed esso continua a crescere: nel 2017 ha guadagnato oltre il 111% e dall’inizio del 2018 più del 31% sbaragliando gli altri concorrenti. Il titolo GM è cresciuto infatti del 16,44% nel 2017 e dell’8% nell’ultimo mese, quello di Ford ha registrato una crescita del 4% nel 2017 e del 5% da inizio 2018.

Fiat Chrysler è, inoltre, in pieno slancio nel mercato Usa. Dal 2009 ad oggi, Fca ha investito 10 miliardi di dollari negli Usa e presto investirà 3,5 miliardi di dollari creando 3500 posti di lavoro. È di questi giorni la decisione di spostare una parte importante degli investimenti dal Messico agli Stati Uniti. Ciò in vista dell’eventuale uscita di questi ultimi dal Nafta, che obbligherebbe i gruppi statunitensi di auto a pagare un dazio del 25% sulle auto prodotte in Messico.

E così Marchionne, come gli altri manager di Fca, ha potuto intascare il lauto premio legato al raggiungimento degli obiettivi fissati nel piano 2014-2018.L’a.d. ha incassato un bonus di ben 42 milioni di euro pari a 2,8 milioni di azioni Fca, rimpinguando il già gonfio portafogli di 16,4 milioni di azioni, di cui 3,9 ottenuti grazie ai risultati raggiunti.Poco importa se le immatricolazioni europee del gruppo, pur registrando nel 2017 una crescita annua del 5,2%, siano di colpo calate, nel dicembre 2017, del 16,1% e la quota di mercato sia scesa dal 6,2% al 5,5%.

Per quanto riguarda l’Italia, è vero che la produzione di Fca nel 2017 è aumentata del 4,2%, ma non è tutto oro quello che luccica. Tutt’altro. A Pomigliano si è registrata una flessione dell’1,2%. I 4700 lavoratori dello stabilimento campano resteranno in regime di contratto di solidarietà sino all’estate del 2019, proprio quando la produzione della Panda, l’unica a tenere, sarà verosimilmente trasferita in Polonia. A Cassino si sono ottenuti, nell’anno appena trascorso, incrementi della produzione, ma il calo produttivo degli ultimi mesi ha causato il ritorno a Pomigliano di 300 operai da tempo in forza allo stabilimento ciociaro e il non rinnovo del contratto per 532 lavoratori interinali. A fine gennaio scadranno i contratti di altri 300, anche questi a forte rischio di licenziamento. Non è certo di buon auspicio il fermo produttivo deciso dalla direzione aziendale per il periodo che va dal 2 al 15 gennaio, fermo che è seguito alla chiusura avvenuta nel periodo delle feste di fine anno. I lavoratori di Cassino dovranno così sacrificare ferie e permessi per coprire quelle giornate. Tutt’altro che rosea la situazione della fabbrica di Melfi, dove la produzione è scesa, nel 2017, del 9,4% rispetto all’anno precedente. A Torino la situazione è sempre più preoccupante. Se è vero che a Mirafiori la produzione nel 2017 è aumentata del 14,7%, i dati raccolti dalla Fiom ci dicono che, nell’ultimo trimestre, le auto uscite in media ogni mese dalle linee di montaggio sono state 1850, a fronte delle 3377 uscite nello stesso periodo del 2016. Nella storica fabbrica torinese il problema degli ammortizzatori sociali è sempre più all’ordine del giorno. Qui, infatti, i contratti di solidarietà sono più di 2000 su 3750 lavoratori, e si lavora in un clima caratterizzato da reparti confino, chiamate arbitrarie ed esuberi di cui si ignorano le liste, ma che, conoscendo la storia della Fiat, devono essere custodite nel cassetto di qualche scrivania dell’ufficio del personale. A marzo i contratti di solidarietà saranno prorogati di altri sei mesi, poi, a settembre, non ci saranno altri ammortizzatori, se non la cig ordinaria. Nello stabilimento di Grugliasco, alle porte di Torino, i modelli Ghibli e Quattroporte hanno subito nel 2017 un calo produttivo del 10,3%. Ciò ha provocato un aumento dei giorni di cassa integrazione, passati da 48 a 62. E il 2018 non si apre di certo all’insegna dell’ottimismo, se è vero che Fca ha deciso di chiudere lo stabilimento dal 12 al 16 febbraio, dopo le fermate già previste dall’8 al 12 gennaio e dal 26 gennaio al 2 febbraio. Altra cassa integrazione, dunque, per tutti i 1683 lavoratori della Maserati, che da inizio anno fino a metà febbraio lavoreranno soltanto 14 giorni su 34.

Ancora una volta, dunque, non verranno mantenute le promesse marinaresche sulla piena occupazione fatte da Marchionne, in questo campo un vero lupo di mare. Eppure, c’è ancora chi si intestardisce nel continuare a chiedere all’a.d. di Fca impegni in tal senso, sollecitando la produzione di nuovi modelli e sottolineando l’urgenza di nuovi investimenti. La Fiom ha incontrato in gennaio il governatore della Regione Piemonte Sergio Chiamparino e la sindaca di Torino Chiara Appendino per renderli partecipi delle preoccupazioni sul futuro produttivo di Fca a Torino. Tutti hanno condiviso la necessità di giungere al più presto ad un tavolo di confronto tra sindacati, istituzioni locali, governo ed azienda. È una via utile solo a chi vuole gettare fumo negli occhi ai lavoratori per tenerli calmi e passivi in attesa di qualcosa che non verrà mai. Una via sperimentata nel passato e sempre sulla pelle degli operai. Dice il proverbio: “La volpe perde il pelo ma non il vizio”. L’unica strada utilmente percorribile dai lavoratori non può che essere quella di lottare uniti in difesa del posto di lavoro, per migliori condizioni salariali e lavorative.

M.I.