Fatti di ordinario sfruttamento
“Non c’è nessuna invasione di migranti, né in Italia né a Viterbo. Questa retorica va avanti da quarant’anni, dai tempi dell’arrivo dei polacchi”. Così il presidente del centro studi e ricerche sull’immigrazione Luca Di Sciullo in un rapporto recente. Certo che non c’è l’invasione. In compenso ce ne sono tanti che li sfruttano. E ce ne sono tanti che ora ne avrebbero bisogno, come abbiamo visto con l'emergenza COVID
Forse perché non costituiscono esattamente una novità, ci sono notizie che finiscono in fondo alle pagine di cronaca, senza suscitare né particolare interesse, né rilevanza nazionale. Così è successo per la serie di arresti che all’inizio di gennaio hanno interessato la zona della piana di Gioia Tauro nel Reggino. Ancora una volta si è trattato di una rete di sfruttamento del lavoro degli immigrati nelle aziende agricole del territorio: coinvolte e sequestrate tre aziende, insieme a una serie di beni mobili, per un valore totale di un milione di euro. Certo è che il lavoro svolto nei campi dagli immigrati smuove un giro di affari e una catena di sfruttamento dalle dimensioni incalcolabili, perché ciò che viene saltuariamente alla luce è solo una parte infinitesimale di ciò che avviene praticamente ovunque, a vari livelli di gravità.
L’arresto di ventinove persone, di cui undici imprenditori agricoli, è la classica punta dell’iceberg che interessa tutta una filiera di sfruttamento, che va dai reclutatori ai caporali e infine ai proprietari delle aziende; e ancora una volta tutto parte dal ghetto di San Ferdinando, la baraccopoli più volte devastata dagli incendi che hanno provocato tre vittime nel giro di un anno. Smantellata ai primi di marzo 2019, ai tempi del Ministro dell’Interno Salvini, mai sostituita da alloggi decenti, rimpiazzata da tende “istituzionali”, dopo neanche quindici giorni aveva subito un altro incendio, che aveva provocato un’altra vittima. All’epoca il ministro Salvini aveva commentato: “Se fosse successo nella baraccopoli abusiva il bilancio poteva essere ben più pesante”. Chissà. Fatto sta che nella nuova tendopoli, nello stesso spazio in cui fino a un mese prima vivevano 400 persone, se ne sono collocate 900…"Qui se scoppia un incendio più grande non c’è neanche spazio per passare fra tenda e tenda", qualcuno commentò all’epoca (La Repubblica, 22.3.19).
Oggi si potrebbe dire che al rischio d'incendio si è aggiunto anche il rischio di epidemia, in comunità a rischio che nessuno è in grado di controllare. Lì comunque continuano a stare tuttora i migranti, che costituiscono una vera miniera d’oro per le imprese agricole locali, e da lì è partita la denuncia di un bracciante senegalese, stanco di lavorare senza contratto, sette giorni su sette, festivi compresi, senza limiti di orario a parte quelli della luce del sole, per un euro a cassetta o poche decine a giornata, e in più oggetto di sopraffazioni e violenze. Sempre nel ghetto di San Ferdinando, le indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Palmi hanno accertato l’ulteriore sfruttamento di donne, costrette a prostituirsi e a versare i compensi nelle mani del loro sfruttatore. Ne consegue che, se in Cina si può costruire un immenso ospedale in dieci giorni, a Palmi sopravvive da anni una tendopoli immonda, e non si riescono a costruire dei semplici alloggi a chi costituisce una risorsa preziosa per l’economia della zona. Di più: non si può farlo nemmeno in caso di emergenza, e nessuno parla delle condizioni di contagio nei ghetti del sud.
Non è che la piana di Gioia Tauro sia un caso isolato. Di recente il centro di studi e ricerche sull’immigrazione IDOS, che ha svolto un rapporto sulle migrazioni nella provincia di Viterbo, denuncia che “Su 32.000 stranieri nella Tuscia, solo 12.000 hanno un contratto di lavoro regolare. Tutti gli altri in età da lavoro, che sono la stragrande maggioranza, cosa fanno? Non lo sappiamo con certezza, ma è molto probabile che siano nell’economia sommersa”. L’immigrazione nella zona è in maggioranza di origine asiatica e dall’est europeo, e oltre al settore agricolo è impiegata soprattutto in edilizia e nell’assistenza domestica, tutti settori dove il nero è il colore più diffuso. D’altra parte nella zona sono una trentina i casi di indagati per caporalato, venti i casi di grave sfruttamento scoperti, e quatto gli arresti.
C’è di tutto: un imprenditore di Acquapendente che aveva praticamente ridotto in schiavitù dei richiedenti asilo facendoli lavorare per 150 euro al mese, alloggiati in un fabbricato sporco, senza riscaldamento, con i cavi elettrici a vista; tre figuri che hanno caricato su un camioncino, legato e pestato un bracciante che aveva osato chiedere nove mesi di salario arretrato al suo padrone; oltre 300 tra baristi, camerieri, commessi, addetti alla logistica, costretti a lavorare a bassissimi salari, senza le tutele basilari come ferie, liquidazione, etc. (Viterbo News 24, 6.2.20).
Come denunciato dal giornale online Tusciaweb, “Il guadagno mensile [dei braccianti agricoli], secondo la Flai Cgil, si aggira intorno ai 500-700 euro e deve spesso anche servire per pagare l’alloggio messo a disposizione dal caporale di turno. Ciò comporta per i lavoratori condizioni di vita molto penalizzanti, assenza di fissa dimora, malnutrizione, isolamento e carenza di relazioni sociali”. E come se non bastasse, questo sistema è considerato di tutto vantaggio per l’imprenditoria locale: “La presenza del sindacato non è gradita da chi non vuole che i lavoratori siano informati sui loro diritti”… Evidentemente no, se tre sindacalisti della Flai Cgil sono stati aggrediti e minacciati per aver distribuito volantini informativi, guanti, scalda collo e giubbini catarifrangenti ai braccianti che rischiavano di essere investiti tornando tardi dai campi in bicicletta.
Al culmine dell'epidemia coronavirus, ora che molti migranti hanno dovuto rientrare nei paesi d'origine, e molti non possono tornare in Italia per i lavori stagionali, gli imprenditori agricoli devono ammettere candidamente che non riescono a mandare avanti le attività senza di loro, che frutta e verdura marciscono nei campi. Ora viene fuori che necessitano braccianti in tutta Italia, da nord a sud, e non si sa dove trovarli. La retorica razzista dell'invasione perde forza e consistenza, ma non perde forza invece la spudoratezza di chi ostinatamente ci si aggrappa: mentre la maggioranza delle forze politiche si vede costretta giocoforza a proporre una sanatoria e la regolarizzazione degli immigrati clandestini, gli ineffabili Salvini e Meloni non trovano di meglio che opporsi.