Pubblichiamo di seguito ampi stralci di un elaborato inviatoci dal gruppo “Prospettiva Marxista”. A parte le differenze che esistono, soprattutto nell’approccio al problema, condividiamo con gli autori dell’articolo molti aspetti essenziali, a cominciare dal titolo, che esprime un concetto politico importante: per i lavoratori la vera alternativa non è tra “sovranismo” ed europeismo, ma tra capitalismo, in tutte le sue incarnazioni, e socialismo.
Il dibattito politico in Europa sembra sostanzialmente polarizzarsi intorno a due fondamentali orientamenti contrapposti.
Da una parte c’è tutto il mondo politico, culturale e ideologico, che si riconosce nei principi liberisti, nell’attribuzione di un ruolo centrale alle organizzazioni politiche ed economiche sovranazionali. Nello specifico caso europeo, questi richiami e queste impostazioni si uniscono al valore primario assegnato alla costruzione europea e alla necessità di salvaguardare i traguardi raggiunti nell’integrazione continentale, fino ad auspicarne un ulteriore evoluzione in un compiuto assetto statuale. Dall’altra è andato coagulandosi, soprattutto in anni recenti, tutto un universo politico che rivendica la difesa e la riaffermazione della dimensione nazionale, dei poteri dello Stato nazione. I nemici dichiarati di questi ambiti politici sono le ingerenze delle autorità comunitarie e le dinamiche sovranazionali che intrecciano spinte economiche e istanze politiche in concorrenza con le prerogative dello Stato nazionale e delle comunità locali. Cultori del libero mercato e sostenitori della prioritaria difesa dei soggetti radicati nel territorio, paladini dell’unificazione europea come supremo traguardo di civiltà e cultori di questa o quella piccola patria, moderati e populisti, europeisti e sovranisti, hanno così incrociato le lame nelle svariate competizioni elettorali che hanno attraversato e che si vanno preparando nel Vecchio Continente, proponendosi alle masse proletarie come le due alternative all’interno dell’unica scelta possibile (…)
Nelle sue varie declinazioni, l'europeismo a vocazione liberista ha rivendicato la funzione di argine alle derive xenofobe e protezioniste del mondo sovranista, indicando nell’integrazione politica continentale il concretizzarsi e la rivitalizzazione di un bagaglio di conquiste sociali, di traguardi giuridici e di impegno civile che costituirebbero il meglio dell’identità occidentale. Per contro, il polo avverso si pretende rude ma veritiero interprete di un malcontento che, proveniente “dal basso”, reagirebbe anche ai dettami “buonisti” e “politicamente corretti” con cui le élite “mondialiste” starebbero mascherando i propri interessi nei processi disgregativi delle comunità nazionali, flussi migratori in primis(…)
Il sedicente progressismo della linea europeista e di celebrazione delle ragioni insindacabili dell’economia globalizzata (la linea che si è ritrovata sconfitta, ad esempio, nel voto sulla Brexit o alla elezioni presidenziali statunitensi, ridottasi quindi a deprecare la trivialità e l’ignoranza degli elettori sedotti dal populismo) non può significare altro, dal punto di vista proletario, che un’esca con cui portare i lavoratori a sostenere le opzioni politiche delle frazioni borghesi più legate alle dinamiche dei mercati internazionali. Sull'altro versante, la linea della priorità da assegnare all’identità nazionale, etnica, locale, non può che consegnare disarmato il proletariato, la cui condizione di forza è nell’unità di classe, oltre i confini posti dalle autorità politiche borghesi, ai processi capitalistici che ora scavalcano ora utilizzano la dimensione nazionale.
L’alternativa tra i sostenitori dello spazio politico sovranazionale, del libero agire economico su scala globale e i propugnatori della salvifica chiusura nella dimensione politica ed economica della nazione o in generale della comunità ristretta, si colora, infine, della suggestione di una dicotomia tra un’opzione tendenzialmente stabilizzatrice e conciliatoria e un’altra a vocazione bellicista e aggressiva (tratti aggressivi che gli stessi interpreti del sovranismo e della multiforme galassia populista non di rado rivendicano come testimonianza di una capacità di tutela delle proprie comunità di riferimento). Su questo versante agiscono antiche influenze ideologiche: il libero mercato come fattore di distensione dei rapporti tra Stati e popoli, l’aspirazione ad una riscrittura sovranazionale dei rapporti tra Stati che possa disinnescare alla radice la conflittualità internazionale etc. etc.
Tali letture hanno in Europa, e in particolare nella cultura politica italiana, una lunga tradizione. Basti pensare alla vicenda storica e alle elaborazioni del movimento federalista europeo, a cominciare dal Manifesto di Ventotene. (…) Ma per il marxismo non è nella forma Stato o nello schema con cui si articolano l'ordine internazionale e i rapporti tra istituzioni che va cercato il fattore che in ultima istanza ha determinato, determina e determinerà la conflittualità e il ricorso alle armi nei rapporti tra Stati. (…) La guerra è sempre considerata nella sua concretezza storica, nella sua specifica matrice in un determinato modo di produzione e in una determinata formazione sociale. La guerra del mondo capitalista e della sua evoluzione imperialista non trae origine dall'eccessivo potere sovrano degli Stati nazionali, che risulterebbe così inadeguato a gestire politicamente in maniera armonica i processi economici ormai globali. Né si può affidare alle autorità nazionali il compito di scongiurare lo scontro militare ridimensionando le dinamiche sovranazionali e quelle tensioni internazionali che invece nascono dai meccanismi più profondi di funzionamento della società capitalistica e dalla sua estensione ormai su scala mondiale.
Nel quadro dello svolgersi dello scontro tra borghesie, frazioni borghesi e imperialismi, la questione della sfera politica in grado di esercitare nella maniera più adeguata possibile un effettivo potere statuale non può che significare il confronto tra varie opzioni borghesi, tra varie espressioni capitalistiche. Il dispiegarsi del confronto, e in ultima analisi il passaggio alla sua fase militare, fornirà la risposta circa le effettive potenzialità, le reali capacità di queste opzioni nel servire gli interessi borghesi. Ma in ogni caso, ai proletari che avranno accettato di riconoscersi in uno schema di appartenenza e di contrapposizione, in un “loro e noi” privo del fondamentale e vitale contenuto di classe, un “loro e noi” imposto comunque da una frazione o da specifici interessi borghesi, non rimarrà altra funzione che servire da massa di manovra politica ed elettorale in tempo di pace o, in tempo di guerra, da carne da cannone. Espressione quest'ultima che può sembrare un po' retorica, desueta, novecentesca. Ma che continua – pur con eventuali e ancor più devastanti aggiornamenti tecnologici – ad indicare con cruda precisione il destino proletario, se imprigionato nelle sole alternative fornite dal quadro politico del capitalismo.