Etiopia: una guerra tra cricche dirigenti, pagata a caro prezzo dalla popolazione

Un anno dopo l'inizio della guerra decisa dal presidente etiope Abiy Ahmed contro la secessione dello stato regionale del Tigray, il conflitto si è esteso alle regioni vicine con conseguenze drammatiche per la popolazione.

Contrariamente a quanto proclamato da Abiy Ahmed all'epoca, la guerra non θ finita con il bombardamento e la presa della capitale regionale tigrina Mekele nel novembre 2020. Il Fronte di Liberazione del Tigray (TPLF) ha continuato la lotta e ha riconquistato la città lo scorso giugno. L'esercito ha poi istituito un blocco intorno alla regione, impedendo a cibo e medicine di entrarvi per provare a vincere la resistenza. Ma le truppe del TPLF sono riuscite a sfondare questo blocco e ad entrare in altre aree.

Questo anno di guerra è stato un inferno. Centinaia di migliaia di persone sono state affamate e private persino degli aiuti umanitari internazionali. Gli eserciti di entrambe le parti hanno moltiplicato le loro esazioni e gli stupri hanno accompagnato la presa di grandi città e villaggi. L'esercito della vicina Eritrea è venuto in aiuto dell'esercito di Abiy Ahmed in questo triste compito. Mekele e altre cittΰ importanti sono regolarmente bombardate dall'aviazione etiope.

I profughi delle regioni devastate dalla guerra si sono rifugiati nella capitale. Ad Addis Abeba la miseria è visibile ovunque nelle strade, mentre la popolazione è già stata duramente colpita dagli importanti aumenti di prezzi di questi mesi. La polizia rastrella i giovani che trova in giro senza la carta d'identità, il più delle volte rifugiati. Anche i giovanissimi, vengono mandati a combattere il TPLF e usati come carne da cannone dall'esercito etiope.

Nella capitale Addis Abeba tutte le proprietà dei tigrini sono state confiscate. Per provare a creare un'unità nazionale intorno alla sua persona Abiy Ahmed poggia sul brutto ricordo lasciato dai dirigenti del Tigray. Quando erano al potere prima di lui, hanno monopolizzato le cariche pubbliche e le posizioni lucrative nell'economia, e la maggior parte degli abitanti della capitale non ha alcun desiderio di vederli tornare e saccheggiare di nuovo le risorse dello stato federale.

Le grandi potenze, in primo luogo gli Stati Uniti, minacciano ora l'Etiopia di sanzioni se non interviene un cessate il fuoco. La loro preoccupazione non è per il popolo etiope. Per i dirigenti occidentali, il paese è innanzitutto il luogo dove trovano la manodopera meno costosa d'Africa per le fabbriche che forniscono le grandi marche di abbigliamento. Le lavoratrici cacciate dalle campagne per far posto alle piantagioni, anch'esse in mano al capitale straniero, sono sfruttate giorno e notte. Affinché questo continui, è necessaria una certa stabilità. Abiy Ahmed l'ha portata quando è arrivato al potere mettendo fine alla guerra con la vicina Eritrea, per cui è stato premiato con il premio Nobel per la pace. Ma ora con questa guerra sta mettendo di nuovo in pericolo gli investimenti, ed è ciò che l'imperialismo gli rimprovera.

La popolazione povera dell'Etiopia non ha nulla di buono da aspettarsi, né da Abiy Ahmed né dai dirigenti del Tigrai. Tutti hanno dimostrato che la loro unica ambizione è di arricchirsi facendo da intermediari per i capitali stranieri. Non esitano a gettare la popolazione in una guerra fratricida e sanguinosa per il potere, forse come preludio a un conflitto regionale con l'Eritrea, che è diventata parte del conflitto.

Per il popolo e i lavoratori dell'Etiopia, di tutte le regioni ed etnie, porre fine agli orrori della guerra e dello sfruttamento vuol dire unirsi per liberarsi di tutti questi dirigenti.

D. M