Nessun risultato elettorale potrà salvare i lavoratori greci dalla catastrofe in cui li ha cacciati la bancarotta del capitalismo.
Continua in Grecia il progredire di una crisi che la borghesia e il governo non sembrano saper arginare. Dopo aver "gioito" per la ristrutturazione del debito, accettato dalla stragrande maggioranza dei creditori, che ha sbloccato gli aiuti europei, la realtà di tutti i giorni, in Grecia, ha ripreso a mostrarsi con la sua crudezza. Le ultime misure prese dal governo a febbraio iniziano ormai a pesare sui portafogli delle famiglie, la disoccupazione ha ufficialmente superato il 21% e quella giovanile il 51%. Continua lo smantellamento di quel poco di welfare esistente, l'indennità di disoccupazione, durava solo sei mesi ed era di 400 miserabili euro mensili, è stata ridotta del 10%. L'OEK, l'ente che erogava mutui ai lavoratori dipendenti è stato sciolto, sicuramente mutui agevolati non ci saranno più (ma quanti lavoratori potranno accendere un mutuo, anche "agevolato", in Grecia in questa situazione?) e non è chiaro ancora se ci sarà una "ristrutturazione", naturalmente al rialzo, dei mutui già erogati. Lo smantellamento del sistema sanitario procede in maniera disordinata e caotica, saranno chiuse decine e decine di ospedali medi e piccoli, molti di questi continuano ad essere in funzione nonostante parte dei macchinari e delle attrezzature mediche sono già state asportate per essere inviati in altri centri. La crisi ha moltiplicato una delle caratteristiche dello stato greco, la scarsa capacità organizzativa.
La resistenza dei lavoratori, sebbene non coordinata, non diretta, frammentata continua a manifestarsi.
I lavoratori di molti ospedali, Sotiras e Evanghelismos ad Atene, in molte altre città, e non solo all'ospedale di Kilkis in Macedonia che è la bandiera del movimento degli ospedalieri, continuano a protestare per difendere i loro salari e un minimo di garanzie di cure per la popolazione. La crisi sta portando anche ad un calo dell'aspettativa di vita.
Continua da cinque mesi lo sciopero dei lavoratori della Ellinikìs Chalyvurghìas, una lotta generosa, ma che dopo tanto tempo inizia a dare segni di stanchezza, non sappiamo che sbocco potrà avere questa lotta, se si arriverà ad una mediazione, sappiamo però che a parte la solidarietà di molti lavoratori a livello più o meno individuale, il sindacato confederale, oltre alle solite dichiarazioni verbali, niente ha fatto per sostenere la lotta di questa fabbrica, più diretto invece l'impegno del sindacato emanazione del Partito Comunista di Grecia. Parliamo comunque di una media azienda, gli addetti dello stabilimento della Ellinikìs Chalyvurghìas che si trova nei sobborghi di Atene sono 380, ma la loro combattività può essere un esempio per tutti i lavoratori greci.
Non mancano altri scioperi, il 10 e l'11 aprile nella settimana della Pasqua ortodossa, i lavoratori marittimi hanno bloccato le comunicazioni con le isole, mentre continua l'occupazione del grande quotidiano Eleftherotypia, chiuso a dicembre anche se i lavoratori periodicamente hanno fatto uscire dalle tipografie del quotidiano un giornale alternativo. Da ricordare inoltre che un canale televisivo, AlterTV, anche questo chiuso dal padrone è da mesi "autogestito" dai lavoratori.
Nel frattempo, sono state convocate le elezioni politiche anticipate per il 6 maggio. Si prevede un esito incerto, una dura sconfitta dei due partiti che hanno governato il paese dopo la caduta della dittatura, i conservatori di Nea Dimokratia e i socialisti del PASOK. Si prevede inoltre un'avanzata dei tre partiti della sinistra riformista, del nuovo arrivo in parlamento di partiti nati dalla disgregazione dei due maggiori partiti, della crescita dell'estrema destra razzista.
C'è già a sinistra chi fa artificiosamente la somma dei voti che potrebbero prendere i tre partiti riformisti, per immaginare una "alternativa di sinistra" alla crisi.
Ma ammesso, che questo "successo" elettorale avvenga, non potrà essere la soluzione. Perché questi partiti non hanno un punto di vista operaio per l'uscita dalla crisi, e ancor di più, solo un forte movimento di classe, che imponga il controllo operaio sulle banche e sull'economia, che imponga il divieto dei licenziamenti potrà salvare i lavoratori dalla catastrofe in cui li ha cacciati il fallimento del capitalismo.
Le elezioni potranno essere il termometro dell'umore politico dei lavoratori rispetto alla situazione che stanno vivendo, e questo si misurerà probabilmente anche con un alto tasso di astensione, ma non potranno mai essere il mezzo con cui i lavoratori prenderanno in mano il loro destino.
Corrispondenza da Atene