Il 24 giugno, dopo parecchi giorni di attesa, i risultati dell’elezione presidenziale egiziana sono stati ufficializzati. L’eletto è il candidato dei Fratelli Musulmani Muhammad Morsi, che ha sconfitto Ahmad Chafik, ex primo ministro di Mubarak che aveva il sostegno dell’esercito. Sarà la prima volta che il presidente egiziano non sarà un militare, ma non per questo un tale risultato è da considerare una vittoria per tutti quelli che si sono mobilitati contro la dittatura di Mubarak.
D’altra parte i militari che da più di un anno governano la cosiddetta “transizione democratica” in Egitto avevano preso le dovute precauzioni. Il 14 giugno, la Corte costituzionale egiziana aveva sciolto l’assemblea legislativa eletta tra il novembre 2011 ed il gennaio 2012 e in cui i Fratelli musulmani avevano ottenuto 235 dei 498 posti di deputati. Il Consiglio supremo delle forze armate, il CSFA, ha poi annunciato che avrebbe ripreso in mano direttamente il potere legislativo, concentrando in questo modo i principali poteri. Così il nuovo presidente si troverà privo di appoggio legislativo e senza grandi poteri. Il CSFA rimarrà l’unico arbitro in Egitto, come lo è stato da più di un anno, dalla partenza di Hosni Mubarak nel febbraio 2011.
Questa situazione non è proprio nuova : dopo le manifestazioni contro la dittatura di Mubarak, la « transizione democratica » promessa si è presto rivelata un inganno. Si cercava di nascondere il fatto che il potere rimanesse in mano delle forze armate e dei diciannove ufficiali del CSFA, dietro al maresciallo Tantaui. L’importante per i militari era mantenere il controllo sull’apparato di Stato, come hanno fatto dal 1952, e su gran parte dell’economia del paese. Sbarazzandosi dell’odiato dittatore e facendo in quell’occasione acclamare l’esercito “difensore del popolo” di fronte a Mubarak, i capi militari si davano i mezzi per assicurare la continuità del potere di Stato.
Ora, tra esercito e Fratelli musulmani, si svolge uno scontro che in realtà dura da anni in modo più o meno attutito. Già prima della caduta di Mubarak, la confraternita era diventata una specie di opposizione tollerata, facendo da sfogo politico al malcontento. Ma soprattutto i suoi militanti, presenti nei quartieri più poveri, assumevano un ruolo di tutela sociale laddove lo Stato e le istituzioni erano assenti. Questo suo ruolo di assistenza ha permesso alla confraternita di radicarsi e di diventare un fattore di stabilità sociale di fronte ad una miseria che poteva diventare esplosiva. In questo modo, la sua influenza è stata un utile complemento alla dittatura dell’esercito e della polizia per conto della borghesia egiziana.
Tuttavia la situazione creata dalla partenza di Mubarak ha cambiato l’equilibrio tra le due forze, permettendo alla Confraternita di occupare più spazio all’interno del sistema politico. Ma l’esercito non vuole perdere il controllo della situazione e, con lo scioglimento dell’assemblea legislativa, ha indicato anticipatamente al presidente islamista i limiti del suo potere. Lo scontro per il potere tra esercito e Fratelli Musulmani potrebbe andare avanti nei prossimi mesi in modo più o meno felpato, come in realtà è sempre stato.
In questo scontro comunque non c’entrano niente né la pseudo « democrazia » conquistata nel febbraio 2011, né gli interessi della popolazione che si era mobilitata contro Mubarak. Purtroppo un paradosso della situazione è che uno dei partiti più oscurantisti, il Partito della libertà e della giustizia formato dai Fratelli musulmani, sta per assumere nei confronti dei ceti popolari l’immagine di principale opposizione « democratica » di fronte allo stato maggiore e al CSFA. Il partito fondamentalista islamico potrebbe utilizzare questa fama non solo per rafforzarsi ma anche per imporre alla società egiziana un regresso sociale, che tra l’altro è già in corso se si guarda la situazione delle donne.
È probabile che una parte della popolazione si accorgerà sempre più che la partenza di Mubarak non è stata la « rivoluzione » che tanti hanno proclamata. Dal punto di vista degli interessi dei lavoratori e della popolazione povera, delle loro aspirazioni alla libertà e ad una vita migliore, la vera rivoluzione rimane tutta da fare.
Ma per questo, ci vorrà un partito che sia pronto a lottare fino in fondo per gli interessi degli sfruttati, tanto contro la dittatura militare quanto contro l’oscurantismo dei Fratelli musulmani.
V. L.