Dazi, populismo e protezionismo: in provincia talvolta le cose sono più chiare

Nel quadro del capitalismo italiano, con la sua storia e le sue specificità economiche e sociali, non è raro che la dimensione locale rifletta con particolare vividezza alcuni tratti e caratteristiche essenziali della situazione politica nazionale. Da questo punto di vista, il Vercellese ha recentemente offerto un angolo di visuale estremamente significativo. La stampa locale ha riportato diffusi cenni circa l'opera di posizionamento attuata da componenti borghesi radicate nel territorio nei confronti delle forze politiche giunte al Governo, circa l'evolversi dei rapporti tra i poteri nazionali, le loro iniziative e gli interessi borghesi rappresentati a livello provinciale e regionale. Le frazioni capitalistiche più rappresentative a livello territoriale si stanno muovendo da par loro per capitalizzare al massimo gli impegni, le propensioni, gli orientamenti di un Esecutivo nato in gran parte da un successo elettorale dalla chiara impronta piccolo-medio borghese e dalla capacità di intercettare gli umori e le esigenze di componenti capitalistiche tese a rinegoziare i termini di quel processo definito in genere come globalizzazione.

Ecco, quindi, La Stampa (tanto nelle sue pagine locali quanto in quelle nazionali) dare spazio alle reazioni del mondo dei risicoltori al rilancio della politica protezionistica promesso dal ministro dell'Interno Salvini. Tra calde espressioni di approvazione (mitigate dal richiamo, sempre presente in questi ambiti, all'attesa della verifica dell'effettivo operato del Governo) e più ponderate valutazioni circa la complessità di una battaglia commerciale e produttiva che si gioca su più fronti, va sottolineata una puntualizzazione della locale dirigenza Coldiretti, che getta una luce sulla dimensione autentica di una realtà borghese tutt'oggi circondata da miti e rappresentazioni romantiche e anacronistiche. Mentre il ministro simbolo del rampante “populismo” descrive l'opzione di una politica di dazi sul riso asiatico con parole con cui un tribuno della plebe avrebbe invocato la difesa della piccola proprietà contadina, i responsabili dell'associazione imprenditoriale tracciano i confini e i compiti di un intervento all'altezza della reale caratura capitalistica dei loro rappresentati: la linea difensiva va estesa ai porti del Nord Europa, punti di sbocco del riso piemontese, e alla Romania, «dove le riserie italiane hanno delocalizzato». I piccoli imprenditori e gli artigiani riuniti nella Cna Piemonte Nord non hanno mancato, da parte loro, di esprimere consistenti critiche al cosiddetto decreto dignità varato dal Governo giallo-verde. Sulle pagine del giornale vercellese La Sesia sono risuonate le parole di condanna a proposito della reintroduzione «di alcune forme di irrigidimento» nei contratti di lavoro a tempo determinato. I risicoltori, quindi, soppesano e si attrezzano per indirizzare l'annunciata linea protezionista del Governo (che, si fa notare sulla Stampa, potrebbe piacere anche ai piccolo-medi industriali della rubinetteria attivi in provincia) mentre artigiani e piccoli imprenditori puntano a sfrondare l'iniziativa economica di Roma persino da quelle timidissime, irrisorie e marginali forme di disciplinamento e limitazione dell'attività imprenditoriale e dei suoi sacri “diritti” sulla forza-lavoro a cui evidentemente i vari segmenti della borghesia italiana sono da tempo disabituati. Lo scenario occupazionale piemontese dei primi mesi del 2018 ha mostrato una chiara sintonia con una tendenza più generale: una ripresa del numero degli occupati marchiata da pesanti connotati di precarietà. I contratti a tempo determinato fanno da traino, con un autentico balzo in avanti dei contratti di apprendistato.

Per i lavoratori salariati, la svolta tutta borghese del Governo “populista” non sta comportando alcun vantaggio e rafforzamento reale. Non solo si colgono ormai anche in provincia i segnali di una sempre più sfrontata arroganza padronale (si pensi, per limitarsi ad un caso emblematico e già segnalato in una precedente corrispondenza, alla vicenda dell'operaio e delegato sindacale di Carisio licenziato in prima battuta per aver denunciato le inadeguate condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro), ma anche storici impianti produttivi e concentrazioni lavorative appaiono sempre più nell'occhio del mirino delle mosse padronali. È il caso dello stabilimento chimico Polioli di Vercelli, di proprietà del gruppo svedese Perstorp. Sono oltre 70 gli addetti che rischiano il posto. Alle proposte irricevibili dell'azienda i lavoratori hanno risposto con lo sciopero, ma in un contesto generale di debolezza della classe operaia anche questa vicenda è finita per essere utilizzata a man bassa nelle squallide beghe tra rappresentanze borghesi locali (di matrice “populista” e non), mentre ad oggi è mancato un adeguato schieramento di lavoratori di altre realtà a difesa degli occupati Polioli. Così, intanto che i cloni di provincia dei politicanti borghesi su scala governativa si danno da fare nel pubblicizzare le proprie iniziative alla ricerca di una cordata di padroni “buoni” che possa “salvare” i posti di lavoro – il tutto in un clima politico e culturale in cui la condizione operaia è ridotta a questioni di filantropia e di “pragmatica” ricerca del meno peggio per i meno fortunati nella scala sociale – anche la difficile condizione dei lavoratori di questa fabbrica vercellese si aggiunge a mille altre nel testimoniare con forza l'urgenza di una autonoma, decisa, agguerrita difesa di classe.

Corrispondenza Vercelli