Stanno chiedendo ai lavoratori greci sudore, lacrime e sangue
La fine di un mito
La prima considerazione che si può fare sulla crisi greca, esplosa violentemente da cinque mesi, è che un mito, ormai già intaccato da tempo, è miseramente crollato. Il mito, diffuso in maniera martellante dagli organi d’informazione greci, che con il "grande balzo in avanti" fatto per organizzare i Giochi Olimpici di Atene del 2004, si fossero bruciate le tappe facendo raggiungere alla Grecia la "modernità degli altri grandi, progrediti, paesi europei". Il disastro economico di questi mesi oltre a colpire i lavoratori, i pensionati, i giovani greci, che è la cosa che più ci interessa, ha mostrato palesemente la debolezza dell’economia greca, della sua borghesia e del suo stato. La sensazione che qui si è diffusa, dopo "l’orgoglio" per aver organizzato le XXVIII Olimpiadi, è che la Grecia sia tornata a essere psorokóstena (uno staterello). Un vaso di coccio fra i vari vasi di ferro, quali sono i principali stati europei.
Uno "sviluppo" falsato
La Grecia dalla fine degli anni ’90 fino alla recente crisi ha avuto dei ritmi di sviluppo superiori alla media della zona euro di cui fa parte fin dalla sua nascita. Uno "sviluppo" che di là dall’aridità dei numeri, spesso meccanicamente considerati dagli esperti come unica fonte oggettiva, nascondeva debolezze e contraddizioni che sono infine emerse.
Il paese ha circa 11.300.000 abitanti (un quinto dell’Italia) e con le Olimpiadi del 2004 ha visto la costruzione non solo delle istallazioni sportive per i giochi ma anche tutta una serie d’infrastrutture, "grandi opere" direbbero in Italia. Si è incominciato con la costruzione di due linee di metropolitana ad Atene e in seguito: con il nuovo aeroporto della capitale; un migliaio di chilometri di autostrade; il raddoppio e l’elettrificazione delle principali linee ferroviarie; il ponte Rio-Antirrio "Charílaos Trikúpis" fra il Peloponneso e la Grecia continentale, lungo circa 2.800 metri (fa invidia alla mania "pontiera" dei nostri governanti e secondo il quotidiano l’Economist "unisce il nulla semplice con il nulla completo", nonostante questo "l’opera" è stata una grande occasione di profitto per il gruppo francese Vinci che si è aggiudicato i diritti di costruzione); l’ampliamento e la ristrutturazione dell’aeroporto di Salonicco, di molti terminal passeggeri in vari porti; la costruzione della grande tangenziale di Atene, l’Attikì Odòs lunga oltre 70 chilometri.
Tutte queste infrastrutture sono state finanziate in gran parte dallo stato (per esempio il ponte Rio-Antirrio per il 43%) che ha rastrellato soldi indebitandosi con le banche e ampliando il debito pubblico.
In uno stato piccolo come la Grecia tutti questi lavori incidevano in maniera considerevole sulla crescita del PIL, ne deriva che in ultima analisi lo "sviluppo" della Grecia, è consistito nell’indebitamento dello stato con i grandi centri finanziari internazionali. È bastato lo scossone della crisi per far cadere tutto il castello di carta. Per uscire da questa situazione il governo ha deciso di scaricare tutti i costi sui lavoratori salariati e i pensionati.
I provvedimenti del Governo
Come hanno fatto tutti i governi, a cominciare dal nostro, il governo greco inizialmente ha cercato di occultare e minimizzare la gravità della crisi, ha cercato di non rendere noti i "numeri", di "truccarli", pratica certo non solo ellenica ma ben conosciuta nei templi della finanza. La cosa è rimasta in sordina fino a quando il nuovo governo socialista che, vincendo le elezioni, si era preso in mano la patata bollente della crisi economica, si è reso conto di non essere più in grado di pagare gli interessi dei prestiti ottenuti dallo stato greco, interessi che crescevano in maniera esponenziale. È stato costretto a denunciare la gravità della situazione e ad annunciare misure che dovevano chiaramente pagare i lavoratori come se questi fossero i responsabili della crisi.
Dopo una serie di appelli alla popolazione affinché si unisse per "salvare il paese", annunci del tipo: "La Grecia ce la farà da sola", il primo ministro Papandréu ha scelto la "cura" secondo lui più ovvia, cioè durissimi sacrifici per i lavoratori come garanzia dei prestiti promessi da Europa e FMI. Obiettivo del governo è di ridurre in pochi anni il rapporto deficit/PIL dal 13,6% al 3%, come richiedono i parametri europei.
Le misure che sono state varate sono le seguenti:
Imposte indirette:
Aumento della benzina (con due interventi a distanza di un mese uno dall’altro) del 45%.
Aumento delle sigarette, prima di 50 centesimi di euro e poi ancora del 10%.
Aumento delle imposte sugli alcolici.
Aumento dell’IVA, dal 4,5% al 5% per i generi di primissima necessità; dal 9% al 10% per gli altri generi di uso popolare; dal 19% al 21% per tutti gli altri beni (per esempio elettrodomestici, veicolo, libri, mobili etc.). Dal 1° luglio è di nuovo previsto un nuovo aumento dell’IVA per questo prodotti dal 21% al 23%.
Aumento generale del costo dei trasporti, è stato annunciato un aumento del 25% del costo dei trasporti urbani per la città di Atene, dove vivono un terzo dei greci.
Per quanto riguarda la "riduzione del costo del lavoro" è stato deciso:
Soppressione della tredicesima e della quattordicesima mensilità per i dipendenti pubblici.
Blocco dei salari e degli stipendi per i prossimi tre anni.
Frazionamento della tredicesima e della quattordicesima sulle dodici mensilità per i lavoratori del settore privato. Questi soldi saranno considerati come voce aggiuntiva al salario e non avranno nessun valore a livello pensionistico.
Blocco delle assunzioni nel pubblico impiego. La disoccupazione è passata negli ultimi 14 mesi, dicembre 2008- febbraio 2010, dal 7,7% al 12,1%.
Per quanto riguarda le pensioni, il disegno di legge da approvare a brevissimo termine prevede:
Istituzione di una pensione sociale (fino ad oggi non era prevista) di 360 euro (sic!) per gli ultra sessantacinquenni che non sono detentori di alcuna pensione. E questo è lo zuccherino per indorare la pillola.
Soppressione della tredicesima e della quattordicesima sulle pensioni.
Dal 2018 (ma si parla già di anticipare al 2015), 40 anni minimo di anzianità di servizio per andare in pensione.
Riduzione fino al 13% delle pensioni di chi lascia il lavoro, da oggi al 2018, con meno di 40 anni di anzianità di servizio.
Dal 1° gennaio 2013 nessuna pensione potrà essere oltre il 70% del salario da cui deriva, a quella data, tutte le pensioni che sono superiori a questo limite saranno ridotte e riportate a questo limite.
Riduzione dal 5 al 10% delle pensioni sopra i 1400 euro. In Grecia il costo della vita è paragonabile a quello italiano e due terzi dei pensionati percepiscono pensioni da 600 euro in giù.
Blocco degli aumenti pensionistici per tre anni.
Soppressione della pensione di reversibilità per le figlie orfane (nubili o separate) di militari di carriera o membri della magistratura. Due dei principali pilastri del potere, la legge e l’ordine, sacrificano sull’altare della crisi, un loro privilegio.
Chiaramente il governo ha cercato di mascherare tutto questo gigantesco attacco ai lavoratori recitando la solita filastrocca sulla dura repressione degli evasori fiscali (in Grecia ne esistono quanti e più che in Italia) e che così i sacrifici sarebbero stati fatti da tutti. Nessun sacrificio "per salvare il paese" invece ha previsto il governo per le banche e gli altri centri del capitale.
La reazione dei lavoratori
Queste misure così dirette e implacabili hanno chiaramente visto l’opposizione di tantissimi lavoratori, anche di quelli che pochi mesi prima avevano votato PASOK (il partito socialista al governo) sperando che il nuovo governo di "sinistra", come aveva demagogicamente promesso, facesse una politica più popolare dei precedenti governi di destra.
Vi sono stati uno stillicidio di scioperi e manifestazioni, dei maestri, dei professori, dei portuali, degli ospedalieri, dei trasporti pubblici, un primo sciopero generale si è svolto l’11 marzo. Il successivo sciopero generale del 5 maggio ha visto ad Atene una grande e partecipata manifestazione, secondo alcune valutazioni la più grande manifestazione operaia dalla caduta del regime dei colonnelli nel 1974.
Come è noto durante la manifestazione alcuni provocatori, ha un’importanza molto relativa di che colore fossero o da chi fossero inviati, hanno incendiato una banca dove tre dipendenti che vi lavoravano (costretti dalla direzione secondo la dichiarazione di un dipendente sopravissuto) sono morti tragicamente. Tali azioni, possono demoralizzare e disorientare i lavoratori più indecisi e titubanti. A questo si deve aggiungere il pericolo ancor più grave della politica opportunistica delle direzioni della GSEE (il sindacato confederale) e della ADEDY (il sindacato del pubblico impiego) che non vogliono condurre una lotta sistematica per respingere le misure del governo, per nazionalizzare le banche, per imporre il controllo operaio e "andare a vedere" dove sono andati i soldi che mancano. Inoltre va ricordato che il PAME, il sindacato ispirato dal partito comunista, rifiuta settariamente qualsiasi lotta unitaria con gli altri sindacati che accusa essere "i rappresentanti dell’aristocrazia operaia". Quindi i lavoratori sono organizzati in sindacati a direzione borghese che sono anche divisi.
Solamente la pressione dei lavoratori potrà garantire la continuazione della lotta, il prossimo sciopero generale del 20 maggio potrà già essere una verifica della situazione.
La necessità della solidarietà internazionale dei lavoratori
La battaglia che stanno combattendo i lavoratori greci in questi mesi ci pone davanti il problema dell’internazionalismo, il problema della necessità del coordinamento e della solidarietà almeno fra i lavoratori europei.
I lavoratori greci stanno combattendo una battaglia contro il loro governo. Il loro avversario è sostenuto e spinto da tutti i governi europei e dal Fondo Monetario Internazionale. Una lotta che può sembrare impari, e potrà essere impari se il proletariato greco rimane isolato.
Le misure che stanno subendo i lavoratori greci anticipano il futuro che ogni borghesia europea sta preparando al proprio proletariato. Proprio in questi giorni il governo italiano (quello che doveva ridurre le tasse!) ha fatto capire che vi è la necessità di una manovra correttiva di 25 miliardi di euro, una "stretta" sui salari e le pensioni.
La possibilità di una riscossa sarà realmente possibile solamente se i lavoratori dei principali stati europei, e non solo quelli greci, si opporranno alla politica di sudore, lacrime e sangue che vuole imporre il grande capitale.
Nostro dovere di internazionalisti è quello di opporsi a questa politica, combattendo la borghesia del nostro paese e contemporaneamente propagandando l’inderogabile necessità di una lotta che sia almeno su scala europea.
Corrispondenza da Atene