“Piombino non deve chiudere”: 19 Novembre, manifestazione a Piombino per difendere le fabbriche da un futuro difficile. Fondi svizzeri, nuovi proprietari, commissariamento…la soluzione purtroppo non dipende dagli operai. Dagli operai dipende soltanto la forza con la quale sapranno imporre le loro ragioni.
Al momento in cui scriviamo non è ancora chiaro quale sarà l’assetto definitivo della Lucchini di Piombino: qualcosa di più preciso è atteso per la fine di novembre, o forse no. Lo stabilimento lavora in perdita da mesi ormai. Secondo quanto riportava il quotidiano economico finanziario Milano Finanza del 7 novembre, avrebbe perso 64 milioni negli ultimi 8 mesi, che vanno ad aggiungersi al debito già accumulato di 770 milioni. Le banche hanno riconvertito 100 milioni del loro credito in partecipazioni azionarie, un espediente perché il debito non superi il valore patrimoniale, costringendo l’impresa al fallimento. Ma nell’esercizio dell’attività bancaria, come ha graziosamente spiegato il Presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo, rispondendo a una lettera aperta del Sindaco di Piombino “il concetto di generosità non è il criterio che si deve tenere presente”. Monte dei Paschi è il principale creditore della Lucchini, ma non è il solo, e nessuno è disposto a congelare il debito, e a consentire l’amministrazione straordinaria con la nomina di un commissario del Governo. Resta da capire se le banche giudicheranno più conveniente l’offerta del fondo d’investimenti svizzero Klesh, lo stesso che sta ponendo condizioni insopportabili all’Alcoa. Gli svizzeri sarebbero interessati solo ai treni di laminazione, non agli impianti a caldo: quindi a prendersi la parte appetibile della fabbrica, con un taglio massiccio dell’occupazione, e senza escludere lo spegnimento definitivo dell’altoforno. Interessante, a questo proposito, il giudizio espresso dallo stesso quotidiano Milano Finanza del 20.10.12, sotto il titolo: “L’Italia non può permettersi altoforni”.
In sostanza, il giornale sostiene che se un settore non presenta valore aggiunto sufficiente, deve riconvertirsi o non può resistere; che un tempo era lo Stato a farsi carico degli extra-costi, perché l’acciaio era strategico per l’industria bellica e la costruzione della nazione; oggi questi fattori contano molto meno, e i costi di trasporto dall’estero non sono insormontabili; fra Taranto e Piombino, ci vorrebbero almeno 2-3 miliardi di investimenti, copertura di perdite e sovvenzioni per 500 milioni l’anno; le finanze dello Stato non possono permetterseli. In sostanza, il ciclo integrale dell’acciaio non conviene, e quindi tanto vale liberarsene.
Questa la situazione; e soprattutto, questa la voce dei padroni. Ma se ai padroni produrre acciaio a ciclo integrale in Italia non conviene più, non si può consentire loro di spegnere, insieme agli altoforni, anche l’esistenza di migliaia di lavoratori. E’ proprio con questa esigenza prioritaria e fondamentale che devono essere costretti a scontrarsi, e per questo probabilmente la forza messa in campo finora non è sufficiente. Da luglio a oggi, oltre allo stillicidio degli scioperi e delle iniziative di lotta, sono state almeno tre le occasioni importanti di mobilitazione, con le manifestazioni del 27 luglio e poi del 10 ottobre, quando è stato bloccato il traffico sulla strada statale Aurelia, e in ultimo del 19 novembre. Sono state tutte manifestazioni molto partecipate, dagli operai delle fabbriche, ma anche dagli studenti e dalla popolazione del comprensorio. Eppure c’è ancora bisogno di chiarire l’obiettivo: non possono essere i lavoratori a pagare, nessun posto di lavoro e nessun salario deve essere perso. Si può difendere la fabbrica, certamente; ma la fabbrica potrebbe sopravvivere, ristrutturata e ridimensionata, anche con la metà dei dipendenti. Non si può diluire in un appello generico al futuro della siderurgia, magari perfino limitato al territorio piombinese, quello che deve rimanere il compito prioritario di assicurare un futuro a tutti i lavoratori e alle loro famiglie.
Necessario e urgente diventa quindi collegare la lotta dei lavoratori di Piombino con le altre realtà di crisi, e prima di tutto con quelle del gruppo – Lucchini sta usando la cassa integrazione anche al laminatoio di Lecco – e con quelle dei lavoratori di Taranto, per acquisire posizioni di forza improbabili da ottenere se isolati. I lavoratori non devono avere nessuna esitazione a porre con energia le loro rivendicazioni: se le imprese fanno i conti con i debiti e con i profitti, devono fare i conti anche con gli operai!