Il testo che segue è stato distribuito a Roma, in occasione della grande manifestazione nazionale del 25 novembre contro la violenza sulle donne
Il caso del produttore di Hollywood Henry Weinstein inchiodato alle sue responsabilità da un numero crescente di attrici che ha avuto a che fare con lui, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla violenza subita dalle donne negli ambienti di lavoro. Weinstein ha un patrimonio di 150 milioni di dollari ed era considerato una delle cento persone più influenti del mondo. Come un aristocratico di altri tempi, si era arrogato il diritto a una sorta di jusprimaenoctische le attrici dovevano subire se volevano lavorare. Le tante denunce che sono seguite, riferite non solo a lui e non solo al mondo del cinema, ma ai più disparati settori professionali, mostrano quanto sia comune l’uso di una condizione di potere, nella quasi totalità dei casi maschile, per abusare di donne che si trovino in qualche maniera in condizione di inferiorità gerarchica o di dipendenza economica. Una realtà che molte operaie e impiegate, vittime delle attenzioni di padroni, capi e capetti, conoscono molto bene.
Una questione culturale?
Ma questa non è che una piccola parte della violenza subita dalle donne in questa società. È evidente che anche nei paesi che si ritengono comunemente più civilizzati, gli stupri, gli abusi e tutte le altre manifestazioni della sopraffazione contro le donne sono una vera piaga sociale. Limitandosi all’Italia, nei primi 6 mesi di quest’anno 114 donne sono state vittime di omicidi volontari. Più di 3 quarti di questi sono avvenuti in contesti familiari.
Sono in molti a sostenere che si tratti di una questione culturale, da affrontare fin dai banchi di scuola. Ma anche facendo finta di ignorare quante poche risorse si destinano alla scuola, non si può invece ignorare che la cultura, nel suo senso più ampio, non è che un anello di una catena che inizia nel cuore dell’ordinamento sociale.
La violenza sulle donne ha a che fare con il “possesso” cioè con la proprietà. È comune a tutte le società divise in classi, le quali, appunto hanno portato all’umanità, oltre allo Stato, la proprietà privata, le varie forme storiche di sottomissione e di sfruttamento delle classi lavoratrici, e il predominio degli uomini sulle donne. In tutti gli ordinamenti giuridici dei paesi occidentali, quelli che si vantano della loro “democrazia”, per lungo tempo è stata sancita l’inferiorità della donna, il non riconoscimento pieno del suo essere una “persona” completa a tutti gli effetti. In Italia, Il “Delitto d’onore” è stato abrogato solo nel 1981, insieme ad un’altra infamia legale: il “Matrimonio riparatore”, atto che consentiva a uno stupratore di “riparare” al suo crimine… sposando la sua vittima. Ci sono voluti altri quindici anni perché lo stupro fosse perseguito non più come “Reato contro la morale”, ma come reato contro la persona.
Relazioni basate sulla sopraffazione
La società capitalistica moderna, d’altra parte, è imbevuta di violenza e di sopraffazione. La figura del “vincente” coincide quasi totalmente con quella del predatore. Il modello culturale proposto ai giovani è quello dell’imprenditore rampante che si fa largo a gomitate nella vita, senza guardare troppo per il sottile, senza preoccuparsi di pestare i piedi al prossimo. Ma questo modello culturale non è che il riflesso del dominio del capitale sulla società. E la legge primordiale del capitale è il profitto ad ogni costo. Ad ogni costo!
Ed è seguendo questa legge che spesso, nella nostra epoca, gli stati “democratici”, tutti egualmente sottomessi agli interessi dei grandi gruppi capitalistici, si rendono direttamente responsabili delle peggiori atrocità che si compiono, per loro convenienza, fuori dai confini nazionali, cercando comunque di apparire politically correct.
Il governo di centrosinistra, i cui rappresentanti si sprecano in dichiarazioni di lotta alle violenze sulle donne, si vanta di aver finalmente limitato l’afflusso di immigrati dal Nord Africa, facendo felici tutti i benpensanti timorosi per le loro proprietà e venendo incontro alla “pancia” di una parte della stessa popolazione povera ubriacata dalla propaganda xenofoba e reazionaria. Non dice però che ha consegnato agli aguzzini dei campi libici migliaia di persone senza difesa. E tra queste, le donne, sistematicamente oltraggiate, umiliate e violentate.
La lotta contro la violenza sulle donne deve fondersi con quella più generale contro l’ordine capitalistico e contro tutti i suoi difensori, per quanto si diano da fare per apparire civili e rispettabili.
R.Corsini