Contro i carichi di morte

Nel porto di Livorno, come in altri porti italiani, vengono movimentati carichi di armi diretti verso teatri di guerra. Un fatto, questo, che suscita crescente insofferenza tra i lavoratori portuali. In una mozione presentata da un delegato sindacale, membro del locale direttivo della Cgil, si parla di armamenti spediti lo scorso giugno dalla vicina base militare americana di Camp Darby verso l’Ucraina. Non è la prima volta e la mozione denuncia che “queste operazioni vengono svolte in modo indisturbato dal personale militare in mezzo a quel silenzio generale al quale purtroppo la città e le istituzioni sono abituate da tempo”. Nel documento si ricorda anche la catastrofica esplosione nel porto di Beirut dello scorso anno in agosto. Più di duecento morti e 7000 feriti, oltre alla distruzione di numerosi edifici, danno l’idea del grado di pericolosità che i materiali esplosivi possono rappresentare anche per la città. Le navi che trasportano queste armi sono mercantili di armatori privati. Le società terminaliste dunque guadagnano da questi carichi di morte. Giustamente tra i portuali si sta facendo strada la convinzione che non valga la pena rischiare la propria vita per il profitto di terminalisti ed armatori e per alimentare le guerre ai quattro angoli del pianeta.

Corrispondenza porto Livorno