Opportunamente preceduto da uno spettacolare blitz al Comune di Sanremo, con tanto di denunce e arresti domiciliari, il tutto a suo tempo adeguatamente pubblicizzato da stampa e televisioni, a seguire è arrivato il nuovo sensazionale annuncio del ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia: “Basta con gli aumenti a pioggia per gli statali”. Sai che novità. Nel frattempo, Cgil Cisl e Uil non si sprecano: al massimo, la solita manifestazione per chiedere “Contratto subito”. Con quali soldi?
Dopo due giorni di Camera di Consiglio – tanto ci hanno dovuto riflettere – i magistrati della Corte Costituzionale avevano deciso, il 24 giugno scorso, che il blocco dei contratti del Pubblico Impiego non è legittimo; e quindi andava riaperto il confronto per il nuovo contratto. Ma attenzione: anche se bloccare il contratto non è stato legittimo… ormai è andata, hanno sentenziato i giudici, e il Governo è dispensato dal restituire il maltolto. Così, risparmiando al Governo Renzi la fatica di tirare fuori 35 miliardi di arretrati indebitamente sottratti ai lavoratori, la Corte Costituzionale ha benedetto il blocco che ha attraversato – per ora – almeno tre legislature: Berlusconi, Monti, Letta e il cambio della guardia con Renzi; tutti indistintamente d’accordo, non solo sul taglio degli stipendi, ma anche sul taglio degli organici. Fatto sta che comunque il Governo si è trovato nell’impellente necessità di stanziare almeno un obolo simbolico nella Finanziaria 2016 per il rinnovo dei contratti pubblici, e lo ha fatto destinando allo scopo la strepitosa cifra di 8 euro lordi pro-capite. Che tra l’altro costituiscono la somma destinata ai soli dipendenti statali, perché per i dipendenti di Regioni ed Enti Locali le risorse restano ancora da stabilire.
Ma, anche qui, attenzione: non sia mai che una cifra simile sia destinata a semplici aumenti, magari riparametrati sulle fasce retributive. In una recente intervista (24.10.15) al Messaggero - il quotidiano romano da sempre attento alle problematiche del Pubblico Impiego, non fosse altro perché a Roma i dipendenti pubblici sono tanti - il Ministro per la Funzione Pubblica Marianna Madia ha specificato che ormai è l’ora di finirla: basta aumenti a pioggia uguali per tutti!
Lo abbiamo già sentito dire almeno da vent’anni, e in larga misura è stato anche fatto. Ma già il semplice pensare che ci si possa mettere a discutere su chi debbano essere i fortunati destinatari di somme dell’ordine di 8 euro lordi al mese è ridicolo. Addirittura farlo dopo sei anni in cui di aumenti non si è visto nemmeno l’ombra, è un insulto per chi in questi sei anni ha mandato avanti la baracca, e – purtroppo - lo ha fatto senza dare nemmeno troppo disturbo. In sei anni le iniziative di lotta sono state poche, e male organizzate; episodi sporadici una volta ogni tot mesi, scioperi o manifestazioni senza nessuna continuità e senza un programma chiaro degli obiettivi: ricalca questo solco anche la manifestazione del 28 novembre. Naturalmente gran parte della responsabilità è stata delle organizzazioni sindacali confederali, che peraltro hanno parzialmente pagato la loro insipienza vedendo diminuire pesantemente gli iscritti, ma non hanno mai concretizzato un’azione incisiva, che andasse oltre i rituali comunicati stampa. Neanche oggi è chiaro cosa si vada a rivendicare con la manifestazione di Roma: un contratto senza soldi veri significa solo lasciare sul campo altre conquiste e altri diritti, in cambio di niente.
Lasciar passare sei anni senza colpo ferire, accettando oltre tutto un taglio costante degli organici, ha seminato sfiducia, scoraggiamento e infine rassegnazione tra i lavoratori, destinatari peraltro anche di periodici violenti attacchi a mezzo stampa. L’ultimo quello sugli assenteisti del Comune di Sanremo, ma anche i troppi malati per Capodanno della Polizia Municipale di Roma, argomento che ha tenuto banco per giorni, o l’assemblea di tre ore - convocata con tutti i crismi della regolarità per gli straordinari non pagati da novembre agli addetti al Colosseo di Roma, ed elevata a prima notizia per una settimana su tutti i quotidiani e su tutte le tivvù come esempio di malfunzionamento della cosa pubblica. Ovviamente non stiamo dalla parte degli assenteisti, sempre ammesso che l’assenteismo venga dimostrato. Altra cosa è la virulenza con cui viene trattato l’argomento, lasciando intendere che sia soltanto la condizione di relativa stabilità dei posti di lavoro pubblici a disturbare veramente: un’anomalia che si vorrebbe quanto prima demolire.
Nel frattempo, senza ridursi ad accettare questo ignobile terreno di discussione, e visto che se scuole, uffici, ospedali, in una parola tutta l’asse portante dei servizi pubblici, in qualche modo riescono a funzionare, non lo si deve di certo al ministro di turno, ma ai lavoratori di questi settori, basta fare qualche numero per chiarire come stanno le cose. Se ammontano a 35 miliardi gli arretrati che i lavoratori della Pubblica Amministrazione hanno versato direttamente nel buco nero del debito dello Stato, del quale sono stati spesso accusati di essere responsabili, bisogna constatare che non è diminuito pagandoli meno. E nemmeno diminuendone il numero: in dieci anni, dal 2001 al 2011, il numero dei pubblici dipendenti è diminuito di 368.000 unità, e la tendenza non cambierà, visto che la stessa legge di stabilità di quest’anno prevede assunzioni per non più del 25% del personale pensionato, il che fra l’altro ha aumentato a 48 anni l’età media dei dipendenti pubblici, la più alta in Europa.
Quanto al numero totale, è risaputo che il rapporto tra abitanti e pubblici dipendenti in Italia, di 1000 a 58, è in linea con la media europea, posto che per la Germania ad esempio è di 1000 a 54, per la Francia di 1000 a 94, per la Gran Bretagna di 1000 a 92, per la Svezia addirittura 1000 a 135. L’Italia risulta l’unico paese europeo in cui, negli ultimi dieci anni, il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto, meno 4,7% (dati Eurispes 2014). Negli altri Paesi è addirittura aumentato: dal 10% circa di Gran Bretagna e Belgio, al 29,6% della Spagna e al 36,1% dell’Irlanda.
L’unica probabilità che va di pari passo con i tagli al Pubblico Impiego, per la popolazione del nostro Paese, è la diminuzione dei servizi, ma non del loro costo. Con che cosa si finanzierebbero infatti gli enormi regali alle imprese e la diminuzione delle tasse per i più ricchi?