Contratti "rumeni" per sfruttare i lavoratori dell'Oltrepò pavese

Allo stabilimento Ceva Logistics Italia di Stradella, nell’Oltrepò pavese, 70 lavoratori “somministrati” dall’agenzia interinale BywayJpb Consulting alla multinazionale della logistica, hanno dovuto firmare un contratto-truffa in base al quale venivano pagati in valuta romena: 1.400 leu, poco più di 300 euro al mese. Tra loro non v’erano affatto rumeni, né stranieri in generale. I lavoratori, tra i 20 e i 45 anni, erano tutti originari della zona.

La Filt-Cgil, che si è occupata del caso, spiega il meccanismo: «Somministrando i lavoratori dall'estero, [le aziende] pagano le tasse in Romania e risparmiano. Ma per il lavoratore dal punto di vista contributivo e fiscale non c'è traccia di niente». Un trucco a cui ricorrono le agenzie interinali è la falsa trasferta: si fa risultare che il lavoratore "rumeno" viene a lavorare in Italia qualche giorno al mese, e con le trasferte viene pagato una parte dello stipendio. Un trucco diffuso in vari settori, dai facchini ai camionisti, dagli operai agli infermieri, lavoratori di nazionalità italiana pagati come se avessero il passaporto rumeno. Una trappola insomma, che i lavoratori accettano pur di campare.

L’agenzia interinale BywayJpb Consulting ha sede proprio a Bucarest, e non è altro che l’ultimo anello di una di quelle catene di appalti e subappalti, risultato della corsa forsennata verso il massimo ribasso del prezzo della forza lavoro: la Ceva ha appaltato la somministrazione del personale al consorzio di cooperative Premium Net, il quale ha subappaltato ad una agenzia interinale lodigiana, la quale a sua volta ha subappaltato all’agenzia romena. Una lunga catena di imprese e imprenditori, peraltro dai forti tratti parassitari, che viene mantenuta dai lavoratori. Un plusvalore già ridotto, se paragonato a quello estortoin genereagli operai manifatturieri, sul quale questi imprenditori si gettano con la voracità dei piranha, lasciando poco più di 300 euro al mese di briciole ai lavoratori che lo hanno prodotto.

Il segretario provinciale della Filt-Cgil, ha raccontato alla stampa locale le difficoltà incontrate nell’organizzare lo sciopero che venerdì 31 marzo ha portato alla ribalta delle cronache la vicenda: «I ragazzi appena sentono parlare di sindacato si allontanano». Ma il 31 marzonon è andata così: 400 lavoratori hanno bloccato l'attività della piattaforma logistica e sono rimasti fuori dai cancelli. Tra loro anche 150 lavoratori i cui contratti scadevano proprio il 31 marzo e ai quali il consorzio Premium Net non aveva ancora comunicato se sarebbero stati rinnovati oppure no. I delegati sindacali spiegano: «Il contratto prevede un rinnovo per un massimo di cinque volte, ma i lavoratori vengono fatti ruotare nelle diverse cooperative. Noi, invece, sosteniamo che Ceva sia un magazzino unico e quindi tutto questo non è possibile».

Un’agitazione che non è certo arrivata senza preavvisi: è stata infatti posta in essere dopo che le richieste del sindacato al Consorzio Premium di rinunciare ai servizi dell'agenzia rumena erano cadute nel vuoto.

A seguito della visibilità mediatica ottenuta tramite lo sciopero, il ministero del Lavoro ha inviato gli ispettori, che hanno attestato l’irregolarità dei contratti. Le aziende facenti parte della catena di appalti che ha portato alla stipula di questi contratti capestro rischiano multe salate, così come probabilmente si troveranno a dover versare ad ogni lavoratore la differenza rispetto al trattamento economico dovuto. Ma nessuna legge protegge dal licenziamento il lavoratore che ha denunciato il proprio datore di lavoro, sebbene quest’ultimo venga sanzionato. Anzi, con il Jobs Act, gli imprenditori avranno tutti i mezzi legalmente sanciti per potersi sbarazzare di quei lavoratori che dovessero osare affrontarli. L’unica tutela contro tutto ciò risiede nella capacità di organizzazione e di lotta dei lavoratori stessi.

Se è vero che il Jobs Act altro non è stato che la proiezione nero su bianco dei rapporti di forza ora più che mai sbilanciati a favore del capitale, è vero a maggior ragione che l’ulteriore dose di passività dimostrata dai lavoratori di fronte al Jobs Act ha dato il via alla borghesia per dare ulteriori mazzate alla nostra classe. Non c’è da stupirsi quindi se ricatti di bassa lega, come quello sopra descritto, finora per lo più riservati a particolari settori del proletariato immigrato, iniziano ad essere utilizzati con una certa disinvoltura anche nei confronti di comparti di proletariato autoctono.

Quando si tratta di abbassare il costo della forza lavoro, di sfruttare e dissanguare i lavoratori, la retorica protezionistica, nazionalista o sovranistatanto sbandierata dal capitale nostrano va dritta giù per lo sciacquone: se i contratti di lavoro “made in Italy” non sono vantaggiosi per le imprese, ben vengano quelli rumeni! Questa piccola, ma grave ed eloquente vicenda conferma alcuni punti cardine della lotta di classe: i lavoratori possono fondare un argine contro lo strapotere padronale solo sulla loro autonoma capacità di lotta, senza affidarsi a "salvatori della patria", politici o sindacali, che hanno già dimostrato di accettare supinamente offensive capitalistiche della portata del Jobs Act; se i padroni possono servirsi disinvoltamente delle divisioni nazionali per dividere e torchiare il proletariato, la nostra classe ha la necessità di incamminarsi su un percorso di lotta e di organizzazione che deve avere un respiro internazionalista.

Corrispondenza Pavia