Congresso CGIL: stavolta niente conclusione unitaria

Finisce poco gloriosamente il 16° Congresso Cgil, comunque lo si guardi fra i più brutti della sua storia: per come è stato gestito il dibattito e l’intero itinerario congressuale, per il livello del suo gruppo dirigente, per le prospettive che apre

Bene. Ora che si è conclusa la lunga e faticosa kermesse delle assemblee congressuali di base, dei congressi di categoria e confederali, provinciali e delle camere del lavoro metropolitane, dei congressi regionali e finalmente del congresso nazionale, ora che si è esaurito il macchinoso rituale previsto dallo statuto e dai regolamenti, ora che i sacerdoti del rito hanno smesso di officiare, si sono decisi a rivelarci dov’è che andava a parare tutta la complessa pantomima.

Era abbastanza evidente che fra gli obiettivi più chiari di tutta la maratona congressuale ci fosse la ricerca del consenso verso il gruppo dirigente, da perseguire sfrondando quanto più possibile la platea dagli elementi di disturbo. Non altrettanto chiari i contenuti veri sui quali questo consenso veniva ricercato. Che i documenti fossero fin troppo simili nei contenuti, era stato uno dei cavalli di battaglia della maggioranza nelle assemblee congressuali di base; e se i documenti si somigliavano, perché mai un buon iscritto avrebbe dovuto esprimersi contro Epifani, paladino di ogni giusta battaglia, unico difensore delle ragioni del lavoro, con una Cgil isolata e attaccata da più parti, con un Governo che non vede l’ora di assistere al crollo dell’unico sindacato in grado di resistergli? Sono argomenti che avevano fatto breccia fra i dubbi di molti iscritti, tra quelli che avevano assistito - per la verità non in numero strabiliante – alle assemblee di base, complice una minoranza mai come in questo momento sfilacciata e senza punti di riferimento, a parte la minoranza nella minoranza della Rete 28 aprile.

D’altra parte, è stata l’espressione di una situazione difficile e debole della classe operaia nel suo insieme; con questi chiari di luna è problematico per qualsiasi minoranza imporre un dibattito serio. Un congresso si fa – o si dovrebbe fare – per decidere la linea di un’organizzazione; è un’operazione possibile però solo con posizioni salde e la determinazione che dà la forza di avere i lavoratori dalla propria parte. Oggi che spesso i lavoratori non sanno più da che parte stare, si fanno più insidiosi i tentativi di portarli a tirare un carro che non è quello dei loro interessi, e sicuramente hanno più probabilità di riuscire. In effetti lo sforzo principale della maggioranza Cgil durante quest’ultimo congresso sembra sia consistito essenzialmente nell’accaparrarsi la gran parte dei consensi, senza guardare troppo per il sottile il come, per poi accreditare le scelte del gruppo dirigente. Traspare perfino dalle dichiarazioni di Epifani a conclusione del Congresso, dopo che - a sorpresa - era stata fatta approvare dall’Assemblea una modifica allo Statuto che può avere effetti dirompenti. Si tratta del potere del Direttivo Cgil confederale di decidere su accordi e contratti interconfederali con Cisl e Uil, senza che possa contare il giudizio delle categorie. Le conseguenze possono essere notevoli, specie per quelle categorie che non sono disponibili, come la FIOM, a firmare qualunque contratto. E infatti, chiosa Epifani "C’è stato un caso recente che ha visto il giudizio di una categoria dopo che il Direttivo nazionale aveva già manifestato la propria opinione. Abbiamo il mandato dei lavoratori e il giudizio sugli accordi deve essere unico, di tutta la Cgil". Abbiamo il mandato dei lavoratori…quindi prima si rastrella il mandato dei lavoratori su una serie di parole d’ordine generiche, e con le garanzie del Segretario generale. Poi si usa il consenso per forzare la linea politica nella direzione che si vuole.

"Aver modificato lo Statuto, nel senso di non rendere possibile il pronunciamento delle categorie in caso di accordo sul sistema contrattuale non sta nella storia della Cgil" ha commentato Gianni Rinaldini a fine congresso. Dei segretari di categoria che avevano appoggiato la mozione 2, solo Rinaldini è rimasto in sella, perché la seconda mozione in FIOM ha vinto; Podda e Moccia, rispettivamente segretario della Funzione Pubblica e della Fisac, hanno semplicemente perso il congresso e lasciato le segreterie. E in molti, a parte Rinaldini, hanno potuto osservare che, se molti degli argomenti poi veramente discussi avessero fatto parte del dibattito congressuale a tutti i livelli, non si sarebbe potuto parlare di documenti troppo simili. Il peso del successo in qualche modo conquistato in effetti si è riversato pesantemente nelle votazioni sullo Statuto; le mozioni di minoranza sono state sistematicamente bocciate, compresa quella che avrebbe obbligato la Cgil a consultare i lavoratori con un referendum per approvare piattaforme o accordi che li riguardano. Niente di fatto anche per la "pari dignità a tutti i documenti" presentati eventualmente ai prossimi congressi, cioè il vincolo a illustrarli in tutte le assemblee. E infine, come si temeva, non manca l’apertura a Cisl e Uil, nonché a Governo e Confindustria, per un tavolo intorno al quale rivedere – non si sa in quale senso e in che misura - la riforma del modello contrattuale che la Cgil aveva bocciato poco più di un anno fa. Quindi niente più rifiuto totale, ma - come d’altronde dimostrato con la chiusura dei contratti in varie categorie, adottando proprio i criteri del nuovo modello contrattuale – una cauta apertura. Ecco un argomento che avrebbe potuto sicuramente intrattenere in modo determinante le platee congressuali: ma anche (e soprattutto) di questo nessuna traccia nel percorso del Congresso. Viene da chiedersi di cosa si sia parlato, per cinque mesi di soporifere relazioni e stanchi dibattiti.

Inevitabile a questo punto che la minoranza, tutt’altro che compatta, raggiungesse alla fine l’accordo per un voto contrario al documento finale. Son cose che in Cgil sono poco gradite; tutti i segretari ci tengono al voto unanime, ma tant’è. Stavolta pensare a un documento unitario sarebbe stato improbabile. Stessa sorte per il nuovo Statuto Cgil, approvato con 834 voti favorevoli, 121 contrari, 58 astenuti.

Rimane da capire quale sorte seguirà la minoranza Cgil, un’incognita ben presente alla componente della Rete 28 aprile. In uno dei suoi ultimi documenti si pone proprio questo problema: "fallito il disegno di fermare il processo in corso nella Cgil, si tratta di scegliere se aderire ad esso o se contrastarlo".