Come un rifiuto da smaltire

La Cgil e la Flai Cgil (Federazione lavoratori Agroindustria) hanno presentato il 1 agosto un esposto alla Procura di Latina per la morte di Satnam Singh, il bracciante di origine indiana lasciato morire dissanguato nel giugno scorso dopo l'ennesimo incidente sul lavoro. Quasi un atto dovuto, dopo la manifestazione nazionale contro lo sfruttamento lavorativo, gli appalti e i subappalti irregolari, che si è tenuta a Latina il 6 luglio

 

Se c'è una differenza tra la morte del bracciante indiano che si guadagnava da vivere nei campi dell'agro pontino e le altre innumerevoli che dobbiamo contare ogni anno sui luoghi di lavoro, non si può non vederla nelle modalità atroci con cui è avvenuta. Sotto gli occhi della moglie, che lavorava con lui, è stato letteralmente stritolato da un meccanismo per avvolgere i teli di plastica piazzati sulle piante di cocomero, che gli ha amputato un braccio e spezzato le gambe. Il trattore che lo trascinava era guidato dal suo datore di lavoro, Antonello Lovato, che - subito dopo aver constatato come fosse ormai divenuto inutile e inservibile l'essere vivente che gli aveva fruttato profitti fino a un momento prima - ha decretato senza ripensamenti che era morto, ha intimato il silenzio a tutti i presenti, ha ignorato le preghiere di soccorso della moglie, ha caricato il corpo su un furgone, senza dimenticare di raccattare anche il braccio staccato, e lo ha depositato davanti alla porta di casa, insieme al braccio, sistemato in una cassetta della frutta. Buttato via come un rifiuto, mentre i rilievi successivi all'autopsia hanno accertato che la morte per dissanguamento avrebbe potuto essere evitata, se fosse stato soccorso in tempo. E invece risulterebbe che i soccorsi sono stati chiamati dopo almeno un'ora e mezza dai suoi familiari. Nel frattempo, il Lovato si occupava di ripulire il furgone sporco di sangue, come se fosse bastato a cancellare, oltre alle tracce, anche l'esistenza della persona.

Sembrerebbe la fantasia di un film dell'orrore, e invece è la realtà di quanto è avvenuto, in un giorno di lavoro qualsiasi, in un campo di cocomeri, nella civile Italia. Notevole il commento del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, cognato della premier Giorgia Meloni, secondo il quale si tratterebbe di un caso isolato, "un criminale" che non avrebbe niente a che vedere con tutta la filiera agricola. Evidentemente, nonostante la sua carica, il noto personaggio non è a conoscenza delle condizioni di lavoro nel nostro Paese, e non delle condizioni di lavoro in generale, ma in particolare di quelle vigenti nel settore di cui è ministro ormai da un paio di anni; e addirittura, non sa delle condizioni che si sono create in un territorio che dovrebbe conoscere molto bene, il Lazio, sua regione di appartenenza, e l'agro pontino in particolare. "Secondo i sindacati, nelle circa diecimila aziende agricole della provincia di Latina sono impiegati più o meno undicimila braccianti, ma in realtà sarebbero di più, fino a trentamila, costretti a lavorare in nero perché privi del permesso di soggiorno" (settimanale Internazionale, 24.6.24).

Da anni la comunità sikh della provincia di Latina denuncia sfruttamento, caporalato e lavoro irregolare; in occasione della manifestazione promossa dalla Cgil sono stati resi noti i dati in un volantino che li elenca chiaramente: nel nostro Paese le lavoratrici e i lavoratori in condizioni di irregolarità sono 3 milioni in tutti i settori e in tutte le attività. Su 100 lavoratori regolari, quasi 13 sono in nero o in grigio, e 230.000 sono gli occupati impiegati irregolarmente nel settore agricolo (Fonte: rapporto Cgil Agromafie e caporalato). Nei primi quattro mesi dell'anno le vittime sul lavoro sono state 268, e ogni giorno l'elenco si allunga. Quel poco di attività ispettiva che viene fatta ha evidenziato lo scorso anno 3208 vittime di sfruttamento e/o caporalato, di cui 2123 in agricoltura e 897 in altri settori.

L'azienda agricola Lovato, presso cui Satnam Singh e la moglie lavoravano al ritmo di una dozzina di ore al giorno, da cinque anni era sotto indagine proprio per caporalato. Secondo le accuse, "usava manodopera straniera per pochi euro al giorno, senza ferie né riposi e con orari di lavoro superiori a quelli consentiti dalla legge". (settimanale Internazionale, 24.6.24). Satnam Singh, che aveva solo 31 anni, non aveva un permesso di soggiorno né un contratto regolare.

Secondo la legge Bossi Fini, che regola tuttora l'immigrazione, può entrare in Italia in modo regolare soltanto chi è già in possesso di un contratto di lavoro che gli consenta di mantenersi: in genere un'utopia, per chi si trova costretto a emigrare senza avere contatti con il Paese di destinazione. Qualora perdesse il lavoro poi, dovrebbe rientrare al suo Paese: altra utopia, dopo aver impostato una vita in Italia, e magari anche una famiglia. Le conseguenze evidenti di una normativa del genere sono un esercito di braccia sfruttabili e ricattabili, costrette ad accettare qualsiasi condizione e a non fiatare per non rischiare di essere espulse. Non sarà proprio il risultato che si voleva ottenere?

Aemme