Come leggere i risultati elettorali

L’astensionismo, già evidente nel primo turno delle elezioni amministrative, è diventato – almeno nei comuni capoluogo dove si votava - un fenomeno di massa maggioritario in occasione dei ballottaggi. Ha votato meno della metà degli aventi diritto: il 45%. A Genova il dato è inferiore al 40%!

Le analisi sui flussi di voto consentiranno ai sociologi di entrare nei dettagli dell’insieme dell’esito elettorale, ma è fuori discussione che la diserzione delle urne è stata il fatto principale. Già al primo turno, inoltre, si era evidenziata la novità di una disaffezione al voto più marcata al nord e al centro che al sud. In altri termini, i partiti subiscono lo scacco maggiore nelle zone di maggiore industrializzazione e di più radicato “attaccamento” alle istituzioni rappresentative. Il crollo più evidente ha riguardato la Lega e il PDL, che hanno accelerato, già il giorno successivo agli esiti del primo turno, un processo di disfacimento. Ma anche il PD non ha molto di cui rallegrarsi. Il partito di Bersani, infatti, perde meno degli altri ma perde, e molto. I voti del PD, rispetto alle regionali del 2010, calano infatti del 29%. Si tratta di 91.000 voti in meno. Certo, una emorragia meno drammatica di quella del partito di Alfano e Berlusconi che ne hanno persi 175.000 e segnano quindi un meno 54,4%. Senza dubbio, poi, il disastro elettorale del partito di Bossi è rimasto ineguagliato: 85.700 voti in meno che, date le dimensioni della Lega, significano una diminuzione del 67,4%.

Il successo del movimento “Cinque stelle” di Beppe Grillo è l’altra faccia della medaglia dello stesso fenomeno di rifiuto dei partiti. Alla prova della gestione del comune di Parma si vedrà se e quanto sarà duraturo. Intanto è chiaro che appena gli si è offerta l’occasione, l’elettorato ha mandato a farsi benedire un intero sistema. Hanno concorso a questo risultato, oltre agli scandali che hanno coinvolto i maggiori partiti, le più diverse ragioni di malcontento che agitano ormai quasi tutti gli strati della popolazione. È la fotografia di una vera e propria crisi politica profonda che, non a caso, ha allarmato in primo luogo la Chiesa, sentinella ideologica dell’ordine costituito.

Per i militanti rivoluzionari del movimento operaio, se da un lato l’indebolimento delle capacità di controllo delle masse da parte della classe dirigente può essere visto come un fatto positivo, non può essere trascurato, dall’altro, il pericolo dell’aprirsi di nuove opportunità per movimenti e correnti reazionari che sostengano regimi e uomini “forti”. I lavoratori devono trovare nel riconoscimento consapevole della propria identità di classe la base di una politica che risponda alle proprie necessità e ai propri interessi. Il nemico principale resta il capitalismo, non i suoi marci e corrotti servitori.