La voragine nei conti della banca JP Morgan
Quando Jamie Dimon, l’amministratore delegato della banca d’affari JP Morgan ha ammesso pubblicamente la buca di oltre due miliardi di dollari nei conti del colosso americano del credito, la notizia gli era nota da almeno un mese. Nel corso di una nota trasmissione televisiva ha riconosciuto: “Sappiamo che siamo stati stupidi, superficiali, abbiamo esercitato un cattivo giudizio”. In realtà, nello stesso ambiente del business ci si domanda se questa sia soltanto la classica punta dell’iceberg. A quanto ammontano le operazioni ad alto rischio effettuate da uomini della Morgan? Per ora nessuno può dirlo, ma qualche giorno dopo le dichiarazioni pubbliche di Dimon, il New York Times aggiornava la cifra a tre miliardi. D’altra parte il caso JP Morgan riaccende tutti gli allarmi che avevano seguito la crisi dei subprimes e il fallimento della Lehman Brothers nel 2008. Nonostante la montagna di dollari che dalle casse dello stato si è riversata sul sistema bancario per salvarlo dalla crisi, i banchieri giocano ancora con i soldi altrui alla roulette dei “derivati”.
Questi titoli che sono una vera e propria bomba a orologeria in una economia finanziaria mondiale che è di per sé una polveriera, ammontano secondo gli ultimi dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, a 674mila miliardi di dollari. 9 volte il Pil di tutto il mondo, 14 volte la capitalizzazione di tutte le borse! Ora la grande stampa si mette a strillare sul pericolo dello scoppio della nuova bolla dei derivati. Ma dal 2008 non è stato fatto praticamente niente, né in America, né altrove per impedire ai responsabili della crisi di scatenarne delle altre.
Secondo la versione che è stata fatta circolare, Bruno Michel Iksil, uomo della Morgan, francese che operava a Londra si era messo a giocare con i soldi della banca nel settore dei “derivati”. Avrebbe fatto perdere alla Morgan 2,3 miliardi di dollari in quindici giorni, tra fine aprile e inizio maggio. Una media di 153 milioni al giorno.
Ma la catena di comando messa in evidenza dalla stampa specializzata, in primo luogo il Wall Street Journal, non lascia spazio a interpretazioni troppo rocambolesche. Iksil riceveva ordini da Achille Macris, responsabile del settore europeo degli investimenti, questi, a sua volta obbediva a Ina Drew, capo dell’Ufficio investimenti, la quale era alle dirette dipendenze di Dimon. Come mette in evidenza il Journal, le operazioni spericolate di Iksil sono state il risultato delle direttive date dai vertici massimi e da Dimon in persona. La JP Morgan voleva svincolare una parte del denaro investito in titoli europei, data la turbolenza delle borse nel Vecchio continente, e cercare più alti rendimenti, per quanto più rischiosi.
Il taglio di tre o quattro teste è già stato annunciato da Dimon. Fra queste, ovviamente, non c’è la sua.
Il presidente Obama, con involontario umorismo, ha detto che bisogna imporre delle regole alle banche nell’ambito delle operazioni finanziarie. La stessa cosa che aveva detto nel 2008.
Ma la ricerca forsennata del profitto si impone a qualsiasi dichiarazione di buone intenzioni. Fintanto che le leggi le faranno o le imporranno gli stessi capitalisti, è veramente ingenuo, come minimo, immaginarsi che i governi possano impedire nuove ondate speculative, nuove bolle finanziarie e nuove rovinose ricadute sul tenore di vita delle masse popolari. Di fronte al rallentamento dell’attività produttiva e alle sue limitate possibilità di assicurare profitti a breve termine, la massa delle ricchezze accumulate e centralizzate da pochi enormi monopoli finanziari, tende naturalmente a tuffarsi nella speculazione.
Nelle persone soggette a nevrosi si manifesta talvolta quella che gli scienziati della mente chiamano coazione a ripetere. Si tratta di una sorta di costrizione, determinata da una forza psichica interiore, a fare determinate cose e a ripeterle. Il non farle determina ansia, il farle determina una temporanea soddisfazione. Il capitalismo è affetto, per sua natura, da una quantità di coazioni a ripetere. La sua sete di profitti lo spinge alle operazioni finanziarie più spericolate e, per quanto sia evidente che queste stesse operazioni lo hanno trascinato precedentemente nella crisi, torna a ripeterle all’infinito.
Nuove pagine della crisi si stanno scrivendo in questi giorni negli Stati Uniti. E forse l’ennesima catastrofe finanziaria è dietro l’angolo.
R.Corsini