Quando dichiarava che la classe operaia aveva la «missione storica» di metter fine al sistema capitalistico, Marx parlava, come può essere desunto dalla sua teoria dell’accumulazione, della espropriazione dei pochi da parte dei molti. Egli vedeva giustamente che l’espansione del capitale è anche polarizzata nella società in una piccola minoranza di capitalisti da un lato e in una vasta maggioranza di lavoratori privi di capitale, costretti a vendere la loro forza-lavoro per esistere, dall’altro. Il proletariato industriale di cento anni fa oggi si è ingrandito fino a diventare una massa amorfa di lavoratori salariati, che dipendono tutti dalle vicissitudini degli eventi di mercato e delle mutevoli fortune del processo di accumulazione. Qualunque cosa pensino di sé stessi, essi non appartengono alla classe dominante, ma a quella dominata. Il capitalismo è fondamentalmente una società di due classi, nonostante tutte le differenze di stato all’interno di ciascuna classe. La classe dominante è la classe che prende le decisioni; l’altra classe, a prescindere dalle differenziazioni interne, è alla mercé di queste decisioni, che sono prese in vista di determinate esigenze del capitale e determinano le condizioni generali della società. La classe dominante non può agire diversamente da come agisce; in modi stupidi o intelligenti, essa farà tutto il possibile per perpetuarsi come classe dominante. Coloro che stanno fuori del processo decisionale possono disapprovare le decisioni prese o perché queste possono non corrispondere ai propri interessi o perché sono convinti che le cose si dovrebbero fare diversamente. Ma per cambiare queste decisioni essi devono avere un potere loro proprio.
Paul Mattick, 1983