La sberla che il Centrodestra ha subìto nelle ultime elezioni amministrative ha fatto parlare di “fine di un’epoca”. Può darsi che qualche cosa sia effettivamente finito, o in procinto di finire, nei rapporti tra la Lega di Bossi e il PDL e tra le varie bande in cui quest’ultimo sembra in procinto di decomporsi, ma di certo non sono finiti i problemi che la crisi scarica sulle spalle dei lavoratori e dei ceti popolari.
Quei milanesi, quei torinesi o quei napoletani che hanno infilato la loro scheda nell’urna con la voglia di dare una lezione a Berlusconi, a Bossi e ai loro reggicoda locali, hanno tutta la nostra simpatia.
Il Cavaliere per primo ha voluto fare di questa consultazione un referendum sul suo governo e sulla sua leadership. La maggior parte dei consultati, anche nella “sua” Milano, lo ha mandato a quel paese.
Se si riguardassero ora le registrazioni dei talk-show televisivi dei mesi scorsi, oppure gli interventi “ottimisti”dei vari esponenti del governo mentre la crisi continuava a trasformare la vita di milioni di persone in un tunnel senza uscita, se si guardassero di nuovo le loro facce beffarde, le battute arroganti, l’esibizione della ricchezza personale del premier, il cui stile di vita è stato messo in luce dalle indagini della magistratura, si capirebbe meglio come questa gente abbia fatto di tutto per rendersi odiosa, dilapidando quel po’ di credibilità che pure aveva acquisito anche in parte dell’elettorato popolare. Gli analisti dei flussi elettorali dibattono quanto dei voti andati al Centrosinistra e ai suoi candidati nelle maggiori città sia dovuto ad ex elettori del Centrodestra delusi. Di sicuro, molti elettori di sinistra che si erano astenuti nelle passate consultazioni, si sono sentiti mobilitati dalla drammatizzazione dello scontro, dovuta in gran parte allo stesso Berlusconi e, più o meno maldestramente, portata avanti dai suoi candidati locali. Hanno sentito di dover contribuire alla sberla.
Una buona parte di quanti hanno votato le liste e i candidati sindaci del Centrosinistra sono giovani che vivono sulla loro pelle la disoccupazione e la precarietà del lavoro, oppure sono operai e impiegati i cui salari sono di fatto bloccati da anni o, ancora, sono lavoratori in cassa integrazione, senza nessuna sicurezza di un rientro al lavoro. Molti di loro, nei mesi scorsi, sono scesi in piazza o sono saliti sui tetti delle aziende minacciate di chiusura o su quelli delle università e dei centri di ricerca. È una parte della società di cui la crisi continua ad allargare il perimetro. È fatta di milioni di persone. Se anche è finita l’epoca del berlusconismo, è iniziata quella del loro riscatto sociale? È iniziato un processo che porterà alla soddisfazione dei loro interessi vitali?
Occorrerebbero da subito pochi essenziali e urgenti provvedimenti: il divieto di nuovi licenziamenti , la determinazione di un minimo salariale nazionale, che consentisse una vita decorosa, obbligatorio per tutte le categorie del lavoro. Inoltre dovrebbe essere realizzata una spartizione dei carichi di lavoro fra tutti i lavoratori azienda per azienda, categoria per categoria.
Per tutti i disoccupati l’indennità di disoccupazione andrebbe elevata a un livello prossimo al salario minimo legale senza porre limiti di tempo alla sua erogazione.
Tutto questo è indispensabile e urgente, ma costa. Occorrerebbe mettere le mani nei portafogli dei ricconi del mondo delle banche e della grande industria. Occorrerebbe dare una sberla al dominio del capitalismo tutto intero. Chi se la sente? Il Centrosinistra no davvero. La sua maggiore ambizione è servire il più degnamente possibile il capitalismo italiano. Giuliano Pisapia, il vincitore del ballottaggio nella città-simbolo Milano, ha riscosso l’appoggio aperto di importanti settori della borghesia, cominciando dall’imprenditore Piero Bassetti, ex-democristiano, autodefinitosi cattolico liberale, organizzatore di un vero e proprio comitato di “supporter” del Centrosinistra. Ecco che cosa scrive il notista politico del quotidiano confindustriale, Sole 24 Ore, del 31 maggio: “Pisapia a Milano ha vinto non in quanto pericoloso eversore, bensì come riconosciuto rappresentante di un “establishment” cittadino desideroso di aria nuova”.
La sconfitta elettorale nelle amministrative avvierà una crisi politica tale da causare lo sfaldamento della coalizione di Centrodestra?
Nessuno può dirlo con sicurezza, ma quello che si può dire fin da ora è che la politica economica dei prossimi anni, qualunque coalizione governi, è stata già scritta dai grandi gruppi capitalistici tedeschi, francesi, italiani, in altre parole dall’Unione europea: 46 miliardi all’anno di “risparmi” nel budget statale per ridurre progressivamente il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, cioè per far dormire sonni tranquilli ai grandi banchieri che detengono buona parte dei titoli di stato.
Bersani sta già preparando il terreno: “Appena si abbassa il sipario sul berlusconismo – ha detto in un’intervista a Repubblica TV – arriveranno una enormità di problemi economici e anche chi ha detto che non c’erano e li ha negati per anni dirà che sono molto gravi”. Nelle cucine del PD si sta preparando un piatto amaro, a base di rospi da mandar giù, che i lavoratori conoscono molto bene.
Se veramente l’epoca di Berlusconi è alla fine, non è finita quella dei sacrifici. Si dirà che si devono fare sacrifici a causa del “dissesto”, del “mucchio di macerie”, del “disastro” che il Centrodestra ha lasciato in eredità ai successori.
“I miracoli non li fa nessuno, non mi aspetto un momento facile, non dobbiamo raccontarci favole” , ha chiosato il segretario del PD. E quando c’è mai stato, negli ultimi decenni, onorevole Bersani, un “momento facile”, per i lavoratori, per i pensionati, per le loro famiglie?