Dopo nove mesi di trattative e 150 ore di sciopero, il 14 maggio è stato firmato l'accordo tra la direzione dell'Electrolux, colosso svedese degli elettrodomestici, i sindacati e il governo. Renzi ne ha fatto una bandiera. Con uno dei suoi ben noti “tweet” ha commentato a caldo: “ Senza il decreto lavoro l'Electrolux non avrebbe firmato”. Soddisfatta la Confindustria e la sua diretta emanazione governativa, Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, soddisfatto il sindacato, “l'azienda non licenzia nessuno e si fanno investimenti”, dice Landini, segretario della Fiom.
Si può capire che, nel quadro generale, con l'incubo di una disoccupazione dilagante e sotto la minaccia di chiudere gli impianti e portare la produzione in Polonia, i lavoratori abbiano finito per considerare l'accordo come il male minore. Ma questo non significa rinunciare a vedere le cose come stanno.
Le cose stanno così: l'Electrolux è una multinazionale svedese con 60 mila dipendenti in tutto il mondo. Nel 2013 ha accusato una flessione delle vendite in Europa ma complessivamente le ha incrementate del 4,5%. In ogni caso ha mantenuto la stessa cedola, ovvero ha distribuito gli stessi profitti ai suoi azionisti.
Le intenzioni iniziali, dichiarate dal Gruppo, cioè la chiusura dello stabilimento di Porcia e una drastica riduzione degli occupati e dei salari negli altri tre impianti (Susegana, Solaro e Forlì), hanno avuto tutte le caratteristiche del ricatto. Come succede abitualmente, le multinazionali elaborano degli schemi di “battaglia” che hanno lo scopo essenziale di ottenere più soldi possibile dai governi dei paesi nei quali operano. Che poi questo significhi mantenere realmente i livelli di occupazione è tutto da verificare.
Che cosa ha ottenuto Electrolux nella sua vertenza con il governo? Utilizzando la minaccia della disoccupazione e facendo leva sulla necessità, per Renzi e la sua squadra, di avere qualche “successo” da sbandierare, la casa svedese di elettrodomestici ha ottenuto 6 milioni di euro in tre anni di sgravi contributivi sui contratti di solidarietà, finanziamenti garantiti dalle regioni per gli investimenti e, per lo stabilimento di Porcia, ulteriori sgravi sull'Irap, un incremento dei pezzi prodotti sulle linee basato esclusivamente sulla intensificazione della prestazione lavorativa: quello che si faceva in 8 ore ora si farà in 6. Questo in una situazione dove un terzo circa degli operai addetti alle linee sono affetti da patologie muscolo-scheletriche. Inoltre, siccome prevenire è meglio che curare, l'azienda ha ottenuto anche una riduzione del 60% del monte ore delle RSU. Così i rappresentanti eletti dai lavoratori avranno maggiori difficoltà a organizzare, nei prossimi mesi, un minimo di attività a tutela degli operai.
La multinazionale scandinava ha vinto la sua vertenza con il governo garantendosi tre anni di finanziamenti pagati dalla collettività e un maggiore sfruttamento degli operai, non rinunciando, per altro, a liberarsi della forza-lavoro “eccedente” attraverso i cosiddetti esodi incentivati.
“Questo accordo può costituire un modello per la gestione delle crisi aziendali”, ha dichiarato il solito Landini.
Non c'è da dubitarne.
R.Corsini