Cento anni fa - Agosto 1922, Contro il fascismo l'impasse dello sciopero "legalitario"

Cento anni fa

Il 1° agosto 1922, l'Alleanza del Lavoro costituita dai principali sindacati chiamava la classe operaia italiana allo sciopero generale contro la violenza fascista. Tre giorni dopo, l'Alleanza vi rinunciava di fronte alla reazione degli stessi fascisti. Così finiva l'ultimo tentativo di resistenza operaia prima che Mussolini prendesse il potere in ottobre.

Durante il "Biennio Rosso" del 1919-1920, il proletariato era stato all'offensiva. Ma questa situazione prerivoluzionaria era stata condotta in un vicolo cieco dai dirigenti socialisti e sindacali riformisti. Così i lavoratori erano stati disarmati, moralmente e politicamente, dalla loro stessa dirigenza. Ora la borghesia, passato questo periodo che aveva dovuto sopportare, era decisa a mettere alle strette i lavoratori delle città e dei campi, le cui lotte avevano scosso il suo potere nelle fabbriche e nelle grandi proprietà agricole. Avrebbe usato i fascisti per questo.

Il fascismo all'offensiva

A partire dalla fine del 1920, i primi attacchi fascisti presero di mira le leghe contadine e le Camere del lavoro delle campagne, prima di passare alle grandi concentrazioni di lavoratori nelle città. Ben presto la borghesia decise di finanziare il fascismo su larga scala, fornendo aiuti, armi e veicoli. Così le bande fasciste ebbero i mezzi necessari per pianificare gli attacchi contro le espressioni politiche, culturali, sportive e sindacali del movimento operaio.

Questa campagna terroristica contro le organizzazioni operaie si svolse senza vera reazione da parte delle loro direzioni. Grazie a questi facili successi e a questi mezzi le file fasciste ingrossarono. Da solo poche centinaia di reduci dietro Mussolini nel 1919, il fascismo reclutò molto rapidamente ampi settori della piccola borghesia, declassata e arrabbiata dalla crisi economica, e anche operai. A partire dal 1921 e nel giro di pochi mesi, il numero di iscritti al partito fascista passò da 17.000 a quasi 320.000.

I dirigenti socialisti si accontentavano di invitare alla calma. Nell'estate del 1921, un articolo del giornale del partito di Mantova, Terra nuova, rispondeva così ad una spedizione fascista contro una cooperativa socialista: "Noi che siamo i pionieri di un ideale di fraternità, noi che non abbiamo dubbi sull'arrivo inevitabile del socialismo, possiamo dire: basta con la violenza! E possiamo dare l'esempio: mani in alto, compagni!". Mentre la polizia e l'esercito erano complici attivi del fascismo, la classe operaia era invitata dai suoi propri dirigenti a fidarsi dell'apparato statale per essere protetta.

Il Partito Comunista fu costituito nel gennaio 1921. Appena formatosi e ancora minoritario all'interno della classe operaia, si trovò di fronte a questo nuovo fenomeno politico. Pur non volendo, a differenza dei riformisti, affidare il destino della classe operaia allo Stato e alla sua polizia, i suoi dirigenti tendevano a sottovalutare il pericolo. Raccomandavano di organizzarsi per rispondere "alla forza con la forza, alle armi con le armi" ma, allo stesso tempo, perseguivano una politica settaria che impediva al PC di diventare la direzione politica di cui l'intera classe operaia aveva bisogno.

Lo sciopero del 1° agosto

L'Alleanza del Lavoro, creata nel febbraio 1922 su iniziativa del sindacato dei ferrovieri e del sindacato dei lavoratori marittimi, riuniva i sindacati più importanti, ossia la CGL vicina al Partito Socialista, l'USI legata agli anarchici e l'UIL allora legata ai sindacalisti rivoluzionari. Mesi dopo, affermò la necessità di coordinare le organizzazioni dei lavoratori contro il fascismo, prima di indire uno sciopero generale per il 1° agosto. Gli obiettivi erano definiti come segue: "Dallo sciopero generale deve scaturire un solenne monito al governo affinché ponga fine a tutte le azioni violente contro le libertà civili, che devono essere garantite dalla legge". L'appello specificava che i lavoratori dovevano astenersi dalla violenza. Li invitava a rispettare lo stato di diritto, anche se per mesi era stato allegramente calpestato dai fascisti, con il beneplacito dello Stato. Nulla in questo appello suggeriva ai lavoratori di darsi i propri mezzi per difendere la loro pelle.

Nell'altro campo il tono era ben diverso. I fascisti annunciarono che avrebbero dato allo Stato 48 ore per porre fine all'agitazione prima di agire in prima persona. In questo modo davano una doppia dimostrazione: alla borghesia, quella della loro efficacia contro questa classe operaia che con lo sciopero dimostrava di non essere ancora sconfitta; alle loro truppe, quella di un'organizzazione che non aveva paura di andare oltre i limiti legali e di imporre la propria politica, anche allo Stato, a differenza dei sindacati e dei partiti operai, "rivoluzionari della chiacchiera" come li aveva definiti un dirigente fascista.

L'Alleanza del Lavoro si affrettò a fare marcia indietro di fronte alle minacce e dichiarò la fine del movimento il 3 agosto. La sera stessa, un comunicato fascista trionfava: "La grande battaglia è vinta. Il bluff dei sovversivi, che fino a ieri ricattavano lo Stato, che fino a ieri minacciavano la tranquillità della Nazione, è stato duramente e inesorabilmente punito! Crediamo che di scioperi generali non si sentirà più parlare per molto tempo".

La risposta troncata

Ciò che mancava non era la volontà di lotta delle masse lavoratrici, ma una direzione rivoluzionaria, capace di mettere in pratica la politica del Fronte Unico che l'Internazionale Comunista aveva consigliato ai rivoluzionari italiani di adottare già nel 1921.

In diverse città, la classe operaia, ignorando gli appelli alla calma e al rispetto della legalità dei suoi dirigenti, si lanciò nella controffensiva. A Parma fu guidata dagli Arditi del popolo, un movimento fondato nel 1921 da reduci che, contro chi aveva scelto il fascismo, volevano organizzare la difesa del proletariato. Proprio all'inizio dell'agosto 1922, 15.000 fascisti confluirono da tutta la regione su questo bastione operaio. Di fronte a loro, la popolazione dei sobborghi popolari di Parma, in particolare dell'Oltretorrente, aveva preparato la difesa della città, divisa in zone militari sotto il controllo di lavoratori eletti che organizzavano i vari servizi, dalla difesa alla sanità e ai rifornimenti. Dopo cinque giorni di combattimenti, le truppe fasciste furono sconfitte e dovettero abbandonare l'assedio di Parma.

A causa della politica dei dirigenti operai, questi esempi di resistenza rimasero isolati. In questi giorni dello sciopero che fu chiamato "legalitario", dimostrarono ancora una volta la loro rassegnazione. Invece di dare finalmente alla classe operaia i mezzi per reagire, dimostrarono a Mussolini che ora aveva la via aperta verso il potere.

Per impedire la vittoria della "controrivoluzione preventiva" fascista, sarebbe stato necessario, secondo la formula dei comunisti, essere pronti a combattere sul terreno in cui la borghesia aveva posto la lotta, che non era più quella della giostra parlamentare ma quella dello scontro armato, e a portarla fino alle sue ultime conseguenze, cioè la presa del potere da parte della classe operaia. Questo non era ovviamente l'obiettivo dei dirigenti riformisti. La classe operaia, e con essa l'intera società italiana, avrebbe pagato a caro prezzo questo tradimento, con l'instaurazione del fascismo a partire dall'ottobre 1922.

N C

Il libro Oltretorrente di Pino Cacucci è una cronaca della resistenza a Parma, (Feltrinelli editore)