Caos province

Dal 1 gennaio 2015 dimezzate le risorse per il personale. Nel silenzio pressoché generale, il 50% dei dipendenti delle Province rischia il posto di lavoro. Il ministro Madia vorrebbe persuaderli a “stare sereni”, ma non li ha convinti molto. Se il modello che adotta è quello del suo capo e mentore Matteo Renzi, le proteste dei lavoratori dovranno moltiplicarsi.


Lavoratori che non vedono il futuro, funzioni e servizi che nessuno sa chiaramente da chi verranno erogati e con quali soldi, un caos totale nel quale affiorano poche certezze: che i servizi alla popolazione non hanno alcuna possibilità di migliorare, che lo smantellamento dei servizi pubblici continua e anzi accelera, che i primi a pagare saranno naturalmente, insieme agli utenti, i lavoratori delle Province. Anzi, i lavoratori dei servizi pubblici in generale, dato che il personale delle Province dovrebbe venire riassorbito tramite il blocco totale delle assunzioni “in tutte le amministrazioni dello Stato e affini”, secondo le parole Del Ministro Graziano Delrio; in attesa di sapere – in pratica – quanti dipendenti delle Province saranno da ricollocare. Fra gli effetti collaterali di questa novità, le graduatorie dei concorsi negli enti pubblici che sono stati indetti negli ultimi anni, rimaste ferme per le pesanti limitazioni alle assunzioni, rischiano di essere come minimo scombinate, se non buttate all’aria. Potrà succedere che i vincitori di concorso non possano essere assunti, perché i pochi posti disponibili in organico che i limiti alle assunzioni consentono dovranno essere riservati ai lavoratori delle Province in esubero.

A quanto pare, entro la fine di marzo le Province dovranno per l’appunto quantificare questi esuberi…senza neanche sapere con precisione quali competenze resteranno loro. La scadenza prevista per l’adozione della legge regionale che avrebbe dovuto attuare il trasferimento di alcune funzioni era il 31 dicembre 2014, ma a gennaio inoltrato non ci sono ancora norme definitive. Stato e Regioni si rimpallano l’onere di definire queste funzioni. Comunque sia, resta il fatto che l’assetto di questi Enti, riformato dalla legge cosiddetta “cancella-province” del ministro Delrio, entrata in vigore da aprile, risulta notevolmente ridimensionato. Dovrebbero rimanere alcune funzioni fondamentali, come l’edilizia scolastica, la manutenzione delle strade, l’ambiente. Fuori i Centri per l’Impiego, i beni culturali, l’istruzione. Ma per le Province, che sembrano ormai condannate alla scomparsa, il testo della finanziaria ha imposto tagli per un miliardo nel 2015, due miliardi nel 2016 e tre miliardi nel 2017. Non basta: si tratta di tagli supplementari rispetto a quelli già avvenuti dal 2010 al 2013, ben 2 miliardi sui 12 spesi in origine, e agli ulteriori tagli di 320 milioni nel 2014. Il minimo che ci si possa aspettare è l’imposizione di altre tasse e balzelli vari alla popolazione, un ulteriore massiccio taglio nei livelli essenziali dei servizi, e naturalmente i tagli al personale conseguenti. Comunque sia, la soppressione per asfissia è assicurata; per una quarantina di province è previsto già da ora il collasso finanziario.

L’UPI (Unione Province Italiane) ipotizza in circa 20.000 i posti da tagliare su circa 44.000 dipendenti a tempo indeterminato oggi al lavoro. La Cgil ha calcolato una stima più pessimistica di circa 100.000 posti di lavoro a rischio, tra Province e società partecipate, più il divieto di prorogare 2500 contratti per i dipendenti precari. Secondo il responsabile dei Settori pubblici della Cgil nazionale, Michele Gentile “aumenta sempre più la preoccupazione delle migliaia di lavoratori coinvolti nei processi di riforma”. Anche qualora venissero riconosciuti in esubero e ricollocati nello Stato, nelle Regioni o nei Comuni, nessuno al momento può rassicurarli sullo spostamento della Sede, che potrebbe risultare lontana dal domicilio, né sulle mansioni che andranno a svolgere. Per coloro che non potranno essere ricollocati, e non hanno i requisiti per la pensione, non si aprono scappatoie di pensionamento anticipato, ma una messa in mobilità conservando l’80% dello stipendio per altri due anni, durate i quali possono solo sperare in una ricollocazione, per non essere messi alla porta alla fine del periodo. Lombardia e Toscana sono le regioni più a rischio. Il Presidente dell’UPI Lombardia, Daniele Bosone, ha dichiarato che “Il sistema delle Province lombarde non è in grado di pagare gli stipendi a tutti i dipendenti già dai primi mesi del 2015”.

A questa prospettiva i lavoratori hanno risposto a dicembre con cortei di protesta, assemblee pubbliche, presidi permanenti e occupazioni delle sedi. Il 19 dicembre mobilitazione in tutta Italia, con un’occupazione simbolica di tutte le Province per protestare contro i tagli della legge di stabilità, proteste e sit-in dal nord al sud, per rivendicare il diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Le rivendicazioni dei lavoratori delle Province possono e devono diventare patrimonio comune per tutti i lavoratori del Pubblico Impiego, per i quali si prepara una Riforma che non potrà che peggiorarne le condizioni. Un assaggio della pressione che li aspetta è esemplificata dal polverone mediatico sollevato intorno alla vicenda delle assenze del 31 dicembre nella Polizia Municipale di Roma, chiaramente legata a una vertenza sindacale in corso, che avrebbe previsto anche un’assemblea a cavallo tra la mezzanotte e le prime ore del 2015, poi sospesa. La sproporzione tra l’episodio e il caso da prima pagina appositamente montato, con un martellamento continuo durato giorni e giorni, dà un quadro evidente della situazione.

Aemme