Una quantità di piogge incessanti ha provocato nelle scorse settimane delle inondazioni catastrofiche in Bosnia e in Serbia facendo 47 morti e obbligando alcune decine di migliaia di persone ad abbandonare le loro case. Un milione di persone non ha più accesso all'acqua potabile.
“La sola differenza in confronto alla guerra è che è morta meno gente”, ha dichiarato un ministro facendo allusione alla guerra civile del 1992-1995, quando gli scontri fra milizie nazionaliste portarono all'esplosione della Jugoslavia e costarono la vita a 100 mila persone.
Ma ecco che le inondazioni attuali minacciano di disseppellire le mine di allora. In effetti lungo i fiumi della Bosnia, che erano spesso linee di demarcazione fra belligeranti, furono poste molte mine. Ne resterebbero ancora 120.000 ripartite su 1200 chilometri quadrati. In venti anni hanno ucciso 600 persone e ne hanno ferite un migliaio di altre. Anche in Croazia ne restano ancora 70 mila.
Lunedì 19 maggio, un responsabile dell'organismo bosniaco che gestisce lo sminamento ha dichiarato che “le onde e gli smottamenti del terreno minacciano di trasportare una certa quantità di mine e di distruggere i pannelli che informano i cittadini della loro presenza”. Il pericolo intorno alle città del nord della Bosnia e lungo diversi fiumi è serio.
Degli ordigni esplosivi potrebbero essere trasportati dai corsi d'acqua che si gettano nel Mar Nero. Certe mine potrebbero anche arrivare fino alle turbine delle centrali idroelettriche.
Le conseguenze della guerra, decisamente, non hanno finito di avvelenare la vita degli abitanti della ex-Jugoslavia, anche nel senso più letterale del termine.