Alle imprese i regali dello Stato non bastano mai: questo ormai lo abbiamo imparato da tempo. E non si fanno certo scrupolo di intervenire a gamba tesa se solo sospettano che le cose – per banali necessità elettorali – possano deviare dalla direzione voluta
Galvanizzata dalla manifestazione pro-TAV di Torino, a ridosso dell’approvazione della Legge di Bilancio, Confindustria dedica un intero fine settimana di inizio dicembre a impartire le proprie direttive al Governo, con dichiarazioni mirate del suo presidente Vincenzo Boccia al Forum Industria, con il contorno di un’intervista specifica a La Repubblica. "Potremmo ritornare alla crisi. I dati dicono che ci stiamo avviando verso una fase di decrescita che è tutto tranne che felice. Non so chi fa felice questa decrescita: noi no" (Repubblica, 30.11.18). E mentre le istituzioni europee fanno pressione sul caotico Governo italiano per i famosi “numerini” del deficit, sottolinea molto realisticamente l’angolazione di Confindustria rispetto alla questione: “Il punto non è tanto lo sforamento che il governo ha deciso e la conseguente trattativa che è in atto con la commissione Ue. Il punto è se queste risorse sono usate per la crescita o meno, cioè quale impatto sull'economia reale la manovra economica ha” (Repubblica, 1.12.18).
Gli industriali chiedono soldi, soldi per non pagare tasse, soldi per lavori pubblici e relative commesse. D’altra parte, sottolinea Boccia di fronte alla nervosa platea di industriali riunita a Torino “In questa sala è rappresentato il 65% del Pil nostrano” (Corriere della Sera, 3.12.18) E, per capirsi, “Noi siamo quelli che non se ne fregano se sale lo spread”. Perciò, suggerisce, o si cambia la manovra o il Governo può anche dimettersi.
Boccia boccia il Governo, si potrebbe dire…Altro che pensioni e sussidi: la ricetta degli industriali naturalmente non mette niente di nuovo sotto il sole: "I posti di lavoro non si creano con l'assistenza" ma "abbassando il cuneo fiscale e facendo una grande piano di inclusione per i giovani e il Paese a partire dal Mezzogiorno".
Sai che novità. Per le imprese gli unici soldi spesi bene sono quelli che trasferiscono risorse dai fondi dello Stato alle loro casse, fondi che peraltro lo Stato accantona per lo più attraverso le tasse sottratte ai salari dei lavoratori dipendenti, e su cui le imprese contano, sia sotto forma di commesse per i lavori pubblici, sia sotto forma di sovvenzioni, sgravi e sbuffi variamente concessi. In particolare, negli ultimi anni, dopo la crisi e le sue conseguenze devastanti sull’occupazione, si sono fatte strada e affermate come verità ovvie e incontestabili le istanze del capitalismo italiano, secondo cui l’unico modo per favorire sviluppo e conseguente occupazione consiste nel rendere precarie le condizioni di lavoro e concedere sostanziosi contributi finanziari alle imprese affinché assumano. In questa realtà virtuale il mondo produttivo, identificato nel binomio “imprese e lavoratori” è sulla bocca di ogni politico ragionevole, indissolubilmente unito come se si trattasse di due soggetti aventi interessi e obiettivi comuni. Quante volte sentiamo ripetere dalle opposizioni – ma anche da esponenti governativi, con intenzioni opposte – “questa manovra non è nell’interesse di imprese e lavoratori”, oppure al contrario “favorirà imprese e lavoratori”?
Purtroppo, la realtà è differente: se va male alle imprese, andrà peggio ai lavoratori. Ma se alle imprese va bene, non è detto che vada bene ai lavoratori. Anzi, la realtà e la storia ci hanno detto esattamente il contrario: ai lavoratori può andare bene solo se le loro conquiste sono guadagnate attraverso le lotte e mantenute con gli stessi strumenti. Tutto il resto va e viene, come insegnano le promesse elettorali, reddito di cittadinanza e pensioni quota 100 comprese.
Ciononostante, a forza di ripeterle, certe cose anziché assurde sembrano persino ovvie: tanto è vero che anche questo Governo, non diversamente dai precedenti, crede fermamente che per aumentare l’occupazione sia d’obbligo foraggiare le imprese. Quindi insiste nei provvedimenti già a lungo utilizzati, cioè dare alle imprese sgravi fiscali sotto varie forme. Con la presente Finanziaria, per le imprese del Sud, dall’Abruzzo in giù, gli sgravi per le assunzioni di dipendenti sotto i 35 anni risalgono agli oltre 8000 euro previsti dal Governo Renzi, dopo che erano stati ridotti a 3000 nel 2017. Si tratta dei contributi che le imprese accantonano per le future pensioni, il che ovviamente la dice lunga sull’ammontare delle pensioni future dei giovani assunti. Altro che quota 100!
Ulteriore omaggio: confermato – secondo Il Sole 24 Ore del 3.12 u.s. – il raddoppio della deducibilità dell’IMU sui capannoni industriali, dal 20 al 40% (che non è poco).
Per non parlare della tassa piatta, altrimenti detta “flat tax”, secondo la quale con le nuove norme “rischia di aprirsi una voragine di distanza nel trattamento fiscale di una buona fetta di lavoratori autonomi rispetto ai loro corrispettivi lavoratori dipendenti” (Repubblica, 15.11.18). Così si è espressa in un comunicato ufficiale la Uil, chiedendo al Governo di rivedere le imposizioni sui redditi nell’ottica di una maggiore progressività per “ridurre la pressione fiscale che grava in particolare sui lavoratori dipendenti e pensionati, che da soli versano oltre il 94% del gettito Irpef”.
Sembra poi che nella manovra sarà contenuta un’altra curiosa norma, su altrettanti sgravi intorno agli 8000 euro concessi alle aziende che assumono i laureati con 110 e lode. Siamo convinti che ci sarà chi esulterà per l’avvento della “meritocrazia”…come se un’azienda non avesse tutto l’interesse ad assumere il meglio sul mercato. Così andrà nel migliore dei modi: ti danno anche dei soldi per fare i tuoi interessi.
Si potrebbe dire: che vuoi di più? Ma, come abbiamo visto, in Confindustria sanno cos’altro volere.
Aemme