Non sappiamo se Mariarca Terracciano sia morta per conseguenza diretta della forma di protesta che aveva scelto. Questa infermiera dell’ospedale San Paolo di Napoli si è fatta togliere tutti i giorni una certa quantità di sangue per denunciare il mancato pagamento degli stipendi alle migliaia di dipendenti dell’azienda sanitaria napoletana. A questo sembra abbia aggiunto anche uno sciopero della fame. Nessun rappresentante delle istituzioni era presente al suo funerale, fosse solo per far finta di essere commosso.
È l’ultimo e il più clamoroso esempio, quello della Terracciano, di un atteggiamento presente tra i lavoratori più sensibili ma che deve cambiare. I lavoratori sono sottoposti negli ultimi anni a licenziamenti, chiusure di fabbriche, riduzioni degli stipendi e loro mancato pagamento. In più diminuiscono costantemente le opportunità di lavoro. È la crisi, ci dicono, ma è una crisi che ha un volto ben diverso per i lavoratori, come l’infermiera di Napoli, e per banchieri, grandi industriali, politicanti e grandi burocrati di stato. Tutta questa gente non sta peggio di prima della crisi, spesso anzi ci ha guadagnato, non conosce il bisogno, non conosce l’angoscia per il futuro dei propri figli, non conosce la precarietà delle proprie fonti di reddito.
Nel gesto della Terracciano e anche nel dono dei suoi organi dopo morta, riconosciamo la generosità istintiva della nostra classe sociale. Ma non si può continuare con il martirio e l’autolesionismo. La classe lavoratrice ha assommato nel corso della storia dei propri movimenti sociali e politici un numero di martiri sufficiente a riempire qualche centinaio di calendari. Non sono quelli che ci mancano!
È tempo di cambiare. Basta con gli scioperi della fame, basta con l’isolamento sui tetti dei capannoni o sulle gru, basta con gli esili volontari sulle isole. I lavoratori colpiti più duramente dalle crisi sono già migliaia e migliaia. Ce n’è abbastanza per formare un esercito! E che si formi questo esercito, che si decida a farsi sentire, magari sotto i palazzi del potere, mettendoli "sotto assedio", paralizzando con la propria imbarazzante presenza, per settimane, la "normale" routine della politica romana.
I lavoratori colpiti dai licenziamenti e dalla cassa integrazione, umiliati dall’incertezza del proprio diritto al salario, hanno mille ragioni per essere arrabbiati. Ma non c’è nessuna ragione per rivoltare la rabbia contro se stessi.
La rabbia diventi volontà di lotta collettiva e organizzata.