Con una sentenza depositata il 14 maggio, il tribunale di Vicenza ha stabilito che la morte, nel 2014, di un operaio della Miteni di Trissino è avvenuta a causa dell’esposizione alle sostanze, come i PFAS prodotte da quell’azienda. È probabilmente una sentenza “storica”, nel senso che apre la strada a nuovi ricorsi da parte dei lavoratori e delle loro famiglie e da parte di tutti gli abitanti dei dintorni che hanno subito le conseguenze di questa produzione. I PFAS (sostanze polifluoroalchiliche) sono composti con una struttura chimica molto stabile che li rende adatti per una quantità di usi industriali, dall’impermeabilizzazione dei tessuti ai rivestimenti antiaderenti delle pentole. Ma questa stessa struttura li rende praticamente non degradabili tanto che sono ormai definiti forever chemicals.
Caso vuole che in questo stesso periodo sta avviandosi alla conclusione il processo contro 15 ex dirigenti della Miteni accusati di disastro ambientale per la contaminazione della falda acquifera nelle province di Vicenza, Padova e Verona.
Nella categoria dei PFAS ci sono i PFOA e i PFOS. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato il primo gruppo come cancerogeno per l’uomo e il secondo come probabile cancerogeno.
Il percorso che ha portato al riconoscimento della tossicità dei PFAS non è stato breve. Nell’ottobre del 2020 l’Inail aveva riconosciuto a due ex operai dell’azienda una “menomazione dell’integrità psicofisica” dovuta alla concentrazione di PFOA e PFOS nel sangue.
Secondo la coordinatrice del patronato Cgil del Veneto, la concentrazione di queste sostanze nel sangue dei dipendenti Miteni è “fra le più alte finora accertate e richiamate dalla letteratura scientifica internazionale”. Una concentrazione ben più elevata anche rispetto alla stessa popolazione della zona limitrofa all’azienda. Infatti, “se per i cittadini si parla di decine di nanogrammi, per i lavoratori sono centinaia quando non migliaia di nanogrammi”. Il livello di guardia è tra 1,8 e 8 nanogrammi.
Il fatto che si sia stabilito un nesso di causa ed effetto tra esposizione a sostanze cancerogene e decesso di un operaio, porterà, lo speriamo, dei vantaggi ai lavoratori e alle loro famiglie. Anche se pagati a un prezzo carissimo.
La storia delle malattie professionali e dell’esposizione degli operai alle sostanze nocive è fatta di scoperte della scienza medica poi negate per lungo tempo dalla legislazione sanitaria e dalle norme sul lavoro. I primi accertamenti sulla pericolosità dell’amianto risalgono al 1898, mentre nel 1959 ne viene stabilito il collegamento con l’insorgere del mesotelioma. Solo negli anni ‘80 l’Italia adotta una legge che prescrive il divieto di lavorazione e utilizzo dell’amianto e l’eliminazione di questo materiale da tutti i manufatti insieme al suo smaltimento.
L’operaio ucciso dalle sostanze chemical forever si chiamava Pasqualino Zenere. I figli di questa vittima della sete di profitto hanno fatto causa all’Inail, che non voleva riconoscere la causa professionale della morte di Zenere. La sentenza, perciò, non stabilisce la responsabilità dell’azienda. Tuttavia potrà essere un elemento ulteriore per rafforzare l’accusa nei confronti dei dirigenti sotto processo.
Senza la determinazione e la tenacia della famiglia di Zenere, che si è appoggiata all’Inca-Cgil, non ci sarebbe stata questa sentenza, le cui conseguenze positive, speriamo, si vedranno nel tempo.
Lasciato a se stesso, il capitalismo va avanti a macinare profitti, senza curarsi delle vittime che fa, come un carrarmato che marcia in mezzo alla folla.
RC