Finmeccanica ora vuole disfarsi del settore trasporti ferroviari. A rischio migliaia di posti di lavoro. Si vuol far pagare ai lavoratori i costi di un sistema di corruzione ai vertici del gruppo
Napoli sta per perdere forse l’ultimo grande sito manifatturiero della città, certamente uno dei più importanti del Sud. E’ l’AlsaldoBreda, azienda di Finmeccanica produttrice di veicoli per il trasporto ferrotranviario presente anche a Pistoia, Reggio Calabria e Palermo con stabilimenti tutti interessati dalla ristrutturazione al pari di quello partenopeo. Un totale di 2400 lavoratori di cui 850 nel sito di Napoli. In quest’ultimo lavorano anche 78 interinali il cui contratto è scaduto nel dicembre scorso. Occorre infine considerare i circa 2000 lavoratori dell’indotto campano.
Ad annunciare la volontà di cedere l’azienda è stato il numero uno di Finmeccanica in un’audizione in commissione lavoro del Senato del 21 ottobre scorso. Giuseppe Orsi è stato chiaro: o si trova un partner o l’AnsaldoBreda fallisce. Un primo segnale d’allarme, d’altro canto, era già arrivato in marzo con la messa in cassa integrazione a rotazione per 173 lavoratori dello stabilimento di Napoli. Perché cedere un’azienda operante in un settore il cui mercato mondiale, nonostante la crisi, è in continua espansione con un tasso annuo di crescita del 3% e che, ad oggi, vale circa 20 miliardi di euro? Dati che fanno a pugni con la situazione economico-finanziaria dell’AnsaldoBreda fatta di conti in rosso, indebitamento crescente (solo nel 2011 si sono registrati 200 milioni di perdite), bruschi cali in borsa.
Sbaglia però chi cerca la risposta guardando all’AnsaldoBreda come ad un caso a sé. Così facendo non si coglie il quadro generale in cui si collocano le mosse del capitalismo italiano sulla scacchiera della competizione mondiale. Così facendo le stesse lotte dei lavoratori finiscono per imboccare un vicolo cieco. In questi mesi abbiamo assistito ad una miriade di scioperi e manifestazioni contro la chiusura di fabbriche, le esternalizzazioni e la cassa integrazione. Irisbus, Alenia, Fiat di Termini Imerese e tante altre realtà industriali sono state trattate come problemi a sé stanti da affrontare con lotte aziendali, isolate le une dalle altre.
Il piano industriale di Finmeccanica ci mostra che il settore dei veicoli ferroviari è solo uno dei tanti che il gruppo intende ristrutturare a colpi di privatizzazioni, ridimensionamenti, trasferimenti, cessioni e chiusure. Nell’occhio del ciclone, al pari dell’AnsaldoBreda, ci sono l’Ansaldo STS, leader nel settore del segnalamento ferroviario, la Breda Menarinibus (comparto autobus), l’Alenia (settore aeronautico), la Selex (settore dell’elettronica per la difesa). Il programma del gruppo controllato dalla mano pubblica è quello di procedere ad una drastica cura dimagrante per concentrarsi nei settori chiave, l’aeronautica e i sistemi di difesa, ma anch’essi ristrutturati e “alleggeriti”. A farne le spese sono ancora una volta i lavoratori con il peggioramento delle condizioni di lavoro, la cassa integrazione e i licenziamenti. Sono loro a pagare il prezzo di una politica che negli anni ha fatto di Finmeccanica una vera e propria gallina dalle uova d’oro letteralmente spolpata da politici ed imprenditori. Le inchieste della magistratura sono eloquenti: tangenti, fatture delle commesse gonfiate, fondi elargiti a fondazioni del politico di turno. Un sistema di corruzioni invasivo e ramificato come un cancro in metastasi. E in cabina di regia c’erano i massimi vertici del gruppo. Lo stesso presidente Guarguaglini ha ricevuto di recente il benservito dal governo Monti perché indagato per false fatturazioni nell’inchiesta ENAV-Finmeccanica. Resta invece saldamente al suo posto Marina Grossi, moglie di Guarguaglini e, in ossequio alle migliori tradizioni del nepotismo capitalistico, amministratore delegato della Selex Sistemi Integrati, ritenuta l’epicentro del sistema di tangenti. Il licenziamento di Guarguaglini non dovrebbe comunque creare troppi problemi economici alla sua famiglia, visto che è stato accompagnato da un “congruo” assegno di 5,5 milioni di euro, pari a circa 220 anni di stipendio percepito da un impiegato di Finmeccanica. Una vera beffa per i 74000 lavoratori del gruppo che oggi temono per il proprio posto di lavoro. Lavoratori dell’AnsaldoBreda compresi.
Finmeccanica è pronta a sacrificare l’azienda svendendola al miglior offerente. E’ lo stesso Orsi a confermarlo dichiarando, nel corso dell’audizione testé citata, che «assodato che non ho i mezzi per far diventare eccellente AnsaldoBreda, possiamo trovare chi ha dimensioni, risorse e sinergie per intervenire su questi settori e farli restare nel sistema Italia… Il piano di ristrutturazione è strumentale a una eventuale collocazione della società». Vengono subito in mente (anche ad Orsi?), quali potenziali acquisitori, competitori stranieri come la francese Alstom, la stessa che a fine 2008 ha venduto 25 treni superveloci alla NTV, la società fondata da Montezemolo e Della Valle, noti alfieri del made in Italy. Un Montezemolo, dunque, a due facce: quello che nelle vesti di presidente di Confindustria raccomandava di “comprare italiano” e quello che nel ruolo di futuro ferroviere ad alta velocità comprava i treni in Francia. Nuovo Trasporto Viaggiatori è la scatola vuota (nessun dipendente a libro paga) a cui il ministero dei Trasporti dell’allora governo Prodi concesse la licenza di Operatore Ferroviario. NTV veniva così accreditata come società di gestione del servizio viaggiatori dell’Alta Velocità. La RFI di Trenitalia definiva poi il contratto di servizio mediante trattativa privata affidandolo alla stessa NTV. Una mossa che oggi appare davvero lungimirante dopo il varo del decreto Monti sulle liberalizzazioni (leggi privatizzazioni), grazie a cui Montezemolo e Della Valle potranno accedere anche alla gestione delle tratte ferroviarie. Lo stesso decreto mette poi la classica ciliegina sulla torta liberando l’operatore di servizio ferroviario, dall’obbligo di osservare i CCNL di settore. Il modello Pomigliano potrà così estendersi anche al settore dei trasporti, in piena osservanza del Marchionne-pensiero.
In questo quadro, quale potrà essere il futuro dell’AnsaldoBreda? Nella migliore delle ipotesi l’azienda sarà fortemente ridimensionata e destinata a fornire materiale ferroviario per far viaggiare ad alta velocità clienti economicamente privilegiati. Non è tuttavia irrealistico preconizzarne la chiusura, visto che già nel presente si assiste alla progressiva soppressione dei treni notte e delle tratte usate dai pendolari.
Di certo non basta il piano di ristrutturazione, presentato ai sindacati dall’a.d. Maurizio Manfellotto il 20 gennaio scorso, a fugare i timori di cessione dell’azienda. Per nulla tranquillizzati, già il 23 gennaio i lavoratori incrociavano le braccia per quattro ore. Nel piano, è vero, non si parla più di vendita dell’AnsaldoBreda, ma di riorganizzazione dell’azienda nell’arco di tre anni (2012-2014) per recuperare quote di produttività e diminuire i costi considerati eccessivi. Pur tuttavia, è verosimile che presto le voci di vendita torneranno all’ordine del giorno. I dettagli del piano, infatti, non sono per nulla rassicuranti. I vertici aziendali ritengono troppo costosi i 164 lavoratori del sito di Palermo e troppo basso il valore della produzione. Se il trend non sarà invertito, entro sei mesi la fabbrica chiuderà. E’ inoltre previsto un totale di 1388 esuberi nei siti di Pistoia, Palermo e Napoli (quasi il 60% dell’organico attuale) e la non conferma dei 108 interinali (78 a Napoli e 30 a Reggio Calabria). Scontato il ricorso alla cassa integrazione. Si può ben capire, anche se il piano non ne parla, quale sarà il destino delle migliaia di lavoratori dell’indotto. Chi può davvero credere, con tali premesse, che Finmeccanica non intenda più vendere l’AnsaldoBreda, bensì rilanciarla e assicurare ai lavoratori stabilità occupazionale?
Oggi i lavoratori dell’AnsaldoBreda stanno lottando per non perdere il posto di lavoro al pari di quelli di tantissime altre realtà lavorative. Lo fanno però in ordine sparso, come se l’interesse non fosse comune e come se ogni situazione problematica non dipendesse da un unico disegno, quello di far pagare la crisi alla classe lavoratrice affinché gli appetiti dei capitalisti continuino ad essere soddisfatti. I lavoratori hanno invece bisogno di unificare le mobilitazioni per ritrovare la consapevolezza di quanto può diventare grande la loro forza, di riscoprire che sono i padroni ad aver bisogno di loro e non il contrario.
Corrispondenza da Napoli