Le elezioni presidenziali algerine, previste per aprile, non sarebbero state un evento, con la probabile rielezione del presidente Abdelaziz Bouteflika. Ma l'annuncio della candidatura per un quinto mandato di questo leader quasi del tutto invalido è apparso come un tale segno di disprezzo del regime per la popolazione che ha provocato un'esplosione di rabbia popolare in tutto il paese, al punto che da quel momento si sono moltiplicate massicce manifestazioni di protesta.
Bouteflika è stato al potere dal 1999. Ha quasi 82 anni, è malato e paralizzato, e non ha pronunciato una parola in pubblico dal 2013, quando ha avuto un ictus. In tutte le cerimonie ufficiali, è rappresentato da un quadro con il suo ritratto. Stanca di vedere tali scene, gran parte della popolazione l’ha umoristicamente ribattezzato "Abdel quadro", "la mummia", o "il fantasma di Zeralda", dal nome del suo luogo di residenza.
L’annuncio, l’11 marzo, che Bouteflika non si sarebbe ricandidato ma sarebbe restato al potere, è apparso come una nuova beffa. Le manifestazioni si sono moltiplicate e in piazza si grida ancora, come nella “primavera araba” del 2011: “Abbasso il sistema!”.
I vari clan del regime pensavano che la ricandidatura di Bouteflika fosse il modo di garantire la continuità e la stabilità. Essendo uno degli ultimi sopravvissuti della guerra d'indipendenza, il suo passato di mujahid gli dava legittimità storica. Appariva come quello che aveva messo fine al terribile periodo della guerra civile degli anni '90, nel quale il conflitto tra esercito e islamisti aveva ucciso più di 100.000 persone. Oggi però, il solo intento di riconfermarlo al potere fa esplodere tutta l'insoddisfazione nei confronti del regime.
In questo paese di 42 milioni di abitanti, il 45% della popolazione ha meno di 25 anni. La maggioranza non ha vissuto la violenza del decennio nero e ha conosciuto solo il regime attuale. Sebbene gran parte dei giovani siano sempre più istruiti e qualificati, essi devono affrontare la disoccupazione di massa, la precarietà e i bassi salari. Gli stadi, dove alcuni di essi si ritrovano spesso, sono diventati luoghi di espressione della rabbia. Durante le partite, si sentono i giovani cantare canzoni di protesta denunciando la crescente povertà, l’arroganza del potere e la corruzione. La ricandidatura di Bouteflika è apparsa come l’annuncio che questa situazione sociale di degrado che non offre alcun futuro, comunque continuerà. Dagli stadi, ha fatto traboccare la rabbia nelle piazze.
I partiti dell'opposizione all'inizio si sono smarcati dagli appelli a manifestare. Come il governo, temono la mobilitazione popolare e vogliono dimostrare quanto sono responsabili. D'altra parte, non mancano i politici che sarebbero pronti a sostituire Bouteflika, senza dare alcuna risposta alle aspirazioni popolari. Ma la rabbia sociale che sta esplodendo in Algeria va ben oltre la questione della rielezione o meno del presidente. La classe operaia algerina sta pagando un prezzo elevato per la crisi. Con l'inflazione e la svalutazione del dinaro, si trova di fronte un crollo del potere d'acquisto. Il salario minimo equivalente a 130 euro non permette di vivere. Dopo la rassegnazione degli ultimi anni, questa protesta contro il quinto mandato di Bouteflika libera la parola. Ovunque si sentono questi commenti: “Dove sono andate a finire le ricchezze del paese? Dove sono andati i soldi del petrolio? Perché tanta miseria?”.
Allora la rabbia delle classi lavoratrici dovrà andare oltre la questione del quinto mandato che l'ha fatta esplodere. Dovrà tradursi in obiettivi concreti di lotta, contro un regime e delle classi dirigenti che sanno solo far pagare loro le conseguenze della crisi, pur arricchendosi a piene mani.
L. W.