Al servizio delle imprese

Fra gli innumerevoli regali dispensati a suo tempo dal Governo Renzi c'è, oltre all'abolizione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la Legge 107 del 2015, la cosiddetta riforma della "Buona scuola", che ha fra i suoi punti più caratterizzanti l'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro, obbligatoria per tutte le studentesse e gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori, licei compresi. Il principio sarebbe quello della scuola aperta: aperta alle imprese, ovvio.


Alternanza scuola lavoro! Consentire ai minorenni di limitare il loro percorso formativo soltanto a imparare nelle scuole quello che poi servirà nella vita, a quanto pare da un po' non è più sufficiente. Allora largo ai crediti formativi conseguiti su un luogo di lavoro, e largo alla differenziazione tra chi seguirà un iter di studi collegato ai licei, e chi ne seguirà uno di orientamento professionale. In quest'ultimo le ore da dedicare al lavoro sono almeno il triplo di quelle che devono seguire i colleghi liceali, e soprattutto sono ovviamente molto diversi gli ambienti di lavoro. Una biblioteca o un museo sono molto diversi da una fabbrica, ma un sedicenne o un diciottenne non sono molto diversi tra loro. E quando si parla di introdurre ragazzi minorenni in luoghi dove si marcia al ritmo di tre, quattro morti al giorno, non si può pensare di non doverne pagare le conseguenze. Ci sarebbe anche una Carta dei Diritti e dei Doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza, e dice che "le ragazze e i ragazzi, impegnati in alternanza, devono essere accolti in ambienti di formazione adeguati e sicuri,che favoriscano la crescita della persona e coerenti con l'indirizzo di studio seguito". Ma ovunque si consenta alle imprese di mettere le mani, con l'aggravante di una superficialità e di una cialtroneria tutta italiana, per pescare nel mucchio di giovani inesperti un po' di braccia in più disposte - anzi, obbligate - a lavorare gratis, è difficile che vada tutto bene.

Il 21 gennaio scorso, in una fabbrica metalmeccanica, la Burimec di Lauzacco di Pavia, in provincia di Udine, uno studente diciottenne è morto schiacciato da una putrella di acciaio di 150 chili, mentre era impegnato in uno stage di apprendistato nel sistema cosiddetto "duale". Si tratta di un po' più che un'alternanza scuola lavoro, che prevede alla fine del percorso un eventuale contratto - precario e a tempo determinato, naturalmente! - nell'azienda di riferimento. Il ragazzo avrebbe dovuto essere seguito da un tutor, che era assente per malattia e sostituito da un'altra figura. Non si sa cosa ci facesse in un luogo potenzialmente a rischio, né cosa stesse facendo al momento dell'incidente. Il caso ha voluto che il percorso in questione fosse promosso da un istituto privato cattolico, il salesiano Bearzi di Udine, che tesse le lodi del sistema duale sul suo sito attribuendo ad esso il merito di "avvicinare precocemente i giovani al mondo delle imprese riducendo il rischio di dispersione scolastica". Sarà per questo che i servizi dei tiggì, lungi dall'interrogarsi sulle circostanze concrete dell'infortunio, si sono dilungati in assurde interviste al parroco e al sacrestano del luogo. Ma la vera assurdità è piangere la perdita di un diciottenne come una disgrazia (inevitabile?), presentando come normale lo stanziamento di miliardi per finanziare l'alternanza scuola lavoro, che fornisce manodopera gratis, per quanto poco produttiva, ma docile e acquiescente, al sistema delle imprese.

Normalità sarebbe insegnare (a scuola) alle nuove generazioni a difendersi dal sistema che intende sfruttarli. Normalità sarebbe che la scuola si incaricasse di insegnare ai giovani che non sono semplici pedine in mano a chi può manovrarle a piacimento, insegnare a maneggiare i contratti di lavoro, le condizioni di sicurezza, l'organizzazione collettiva. Invece li consegna - da soli - a un padrone che potrà giudicarli, perché dall'esito degli stages discende anche parte della valutazione scolastica. Vorrebbero farne i dipendenti arrendevoli e addomesticati di domani, ma per fortuna non è così semplice. Perché i giovani hanno gli strumenti per ribellarsi, e lo hanno già fatto nei giorni successivi alla morte di Lorenzo Parelli, con assemblee e manifestazioni a Napoli, Cagliari, Aosta, Bologna, Firenze e Roma. A Roma, in piazza del Pantheon, evidentemente hanno fatto paura, perché sono stati caricati a manganellate dalle forze dell'ordine. Cinque ragazzi hanno ricevuto punti di sutura per ferite alla testa. Si impara anche così.

Aemme