Forse non era proprio questo che intendeva il fondatore della Apple, Steve Jobs, nel suo osannato discorso del 2005 all’Università di Stanford, quando con una serie di alate e visionarie parole incitò i giovani neo-laureati dell’Università americana a osare, rischiare, sperimentare, etc. , il tutto prendendo come esempio la propria esperienza. La vita di Steve Jobs, scomparso di recente, strettamente legata al marchio da lui fondato e ai suoi prodotti, è stata oggetto di una singolare operazione di marketing ben condotta e orchestrata, tanto da fare di lui un personaggio di culto, una specie di vate o guru dell’elettronica, e dei prodotti Apple oggetti di altrettanto culto, idealizzati e ambitissimi, tanto da rendere chi li adotta davvero affamato e folle di possederli.
Anche i lavoratori cinesi che producono i vari Iphone e Ipad hanno buone possibilità di diventare affamati e folli, ma per tutt’altro motivo. Apple infatti – e come potrebbe essere altrimenti? - produce i suoi capolavori elettronici in Cina, dove la manodopera è abbondante e a buon mercato, utilizzando il colosso locale Foxconn, un gigante che a Shenzen impiega quasi 400.000 lavoratori, circa un quarto dei dipendenti del gruppo, che impiega in totale quasi un milione di persone. Nel 2010 la fabbrica è diventata famosa per una serie di suicidi, tanto che la proprietà è corsa ai ripari. Non diminuendo la durata dei turni, che abitualmente è di 12-14 ore, ma può allungarsi anche fino a 24 ore, sei giorni su sette. E nemmeno aumentando a dismisura le paghe da fame, che nonostante siano quasi raddoppiate negli ultimi due anni, non arrivano ancora a 250 euro al mese. Si è invece provveduto a dotare gli edifici di reti di raccolta, dato che alcuni operai avevano deciso di suicidarsi gettandosi dalla finestra; si è introdotto nei contratti una clausola che impegna i nuovi assunti “a non farsi del male e a non togliersi la vita”; si sono perfino introdotte feste aziendali anti-suicidio.
Ma le condizioni di lavoro rimangono drammatiche. Si fa uso di sostanze nocive senza riguardo alla salute dei lavoratori, si utilizza l’arma della pressione psicologica con punizioni umilianti in caso di ritardi o di scarso rendimento, i dormitori in cui alloggiano molti lavoratori sono affollati all’inverosimile. Molti giovani operai sono letteralmente deportati dalle campagne, gettati nelle catene di montaggio e gestiti con metodi da caserma. Affamati e folli, non c’è che dire.
Non è una buona pubblicità per un marchio patinato come Apple, specialmente dopo una lunga inchiesta pubblicata di recente sul New York Times. Per correre ai ripari e salvare la faccia, Apple si è rivolta alla Fla (Fair Labour Association), un organismo creato nel 1999 dall’Amministrazione Clinton, con il ruolo di controllare le aziende che sfruttano la manodopera. Se si pensa che la Fla annovera nel suo consiglio di amministrazione diversi membri delle multinazionali dell’abbigliamento, si ha un’idea di quanto sia efficace questa volpe a guardia del pollaio, che infatti viene accusata di impedire qualsiasi forma di organizzazione autonoma dei lavoratori all’interno delle fabbriche. Esattamente quello di cui Apple potrebbe avere paura.